Francesca e Giulio si dedicano alla crescita del bestiame adottando il pascolo brado, una pratica antica che rispetta i cicli naturali della terra e il benessere animale. Nel cuore dei monti della Tolfa, a soli 50 chilometri dal Grande Raccordo Anulare di Roma, gestiscono oltre mille ettari di terreno. La loro sfida prende forma in un contesto dominato dagli allevamenti intensivi e dalla crescente richiesta di carne a basso costo. Questa realtà segna l’esistenza di piccoli allevatori coraggiosi, impegnati in una battaglia ecologica e sociale spesso poco visibile.
Il pascolo brado non è solo una scelta di allevamento, ma un ritorno a metodi che erano in uso secoli fa e che si basano sul rispetto profondo del territorio. Francesca e Giulio hanno deciso di rivitalizzare questa pratica sulle montagne della Tolfa, una zona storica per i butteri, i tradizionali cowboy italiani. Oltre 1.000 ettari di pascoli si estendono tra boschi, sentieri e pianure, dove il bestiame si muove liberamente e segue il ritmo della natura.
In un’epoca dominata dagli allevamenti intensivi, dove si utilizzano grandi quantità di mangimi e si cerca di produrre carne rapidamente e a basso costo, il loro approccio rappresenta una sfida importante. La tradizione incontra la necessità di tutelare il suolo, la biodiversità e di garantire condizioni di vita dignitose agli animali. Gestire un terreno così vasto in regime brado richiede esperienza, pazienza e una grande attenzione verso il clima che incide fortemente sulle risorse disponibili.
Il tempo, il paesaggio e le stagioni dettano le regole. Questo modo di allevare bestiame tende a stabilizzare i cicli del terreno e a evitare il degrado che oggi affligge molte aree rurali. Diversamente dall’allevamento industriale, che spesso impoverisce il suolo e utilizza fertilizzanti chimici, qui prevale un approccio rigenerativo e circolare che coinvolge ambienti e animali.
La storia di Francesca e Giulio è al centro di un documentario, “Cose che accadono sulla terra”, diretto da Michele Cinque. Il film, prodotto da Lazy Film in collaborazione con Trent Film, ha raccolto riconoscimenti importanti, come la vittoria al Festival dei Popoli e un premio per la distribuzione della Regione Lazio. Dopo un tour negli Stati Uniti, dove ha vinto all’Houston International Film Festival e partecipato al Big Sky Documentary Festival in Montana, il documentario è tornato in Italia.
La pellicola dà voce a una realtà spesso invisibile, quella degli allevatori che cercano di fare la differenza in un sistema che sembra premiare solo la quantità a scapito della qualità e della sostenibilità. Michele Cinque, già regista di “Iuventa”, lungometraggio Netflix ispirato alla storia dell’Ong Jugend Rettet, affronta temi attuali come la crisi climatica, il rapporto tra uomo e natura e le scelte etiche legate all’allevamento.
Il film si concentra anche sul legame affettivo e quotidiano tra Francesca e la figlia Brianna, bambina di sei anni, mostrando il futuro che si sta costruendo con fatica e speranza. Il racconto individua un equilibrio tra tradizione, ambiente e cambiamento sociale, senza cedere a facili retoriche.
Il territorio intorno ai monti della Tolfa non è esente dal rischio desertificazione. L’International Panel on Climate Change sottolinea che oggi il 30% dei suoli mondiali risulta degradato e che questa percentuale potrebbe salire fino al 90% entro il 2050. Queste condizioni compromettono la produzione alimentare e mettono a dura prova chi vive di agricoltura e allevamento.
Francesca e Giulio hanno scelto la via del pascolo rigenerativo per contrastare questi effetti. Questa tecnica, già diffusa in zone a rischio siccità come Australia, Africa, Messico e Stati Uniti, punta a ristabilire un equilibrio tra il suolo, la vegetazione e gli animali. Il metodo elimina spesso l’uso di fertilizzanti chimici e sfrutta la dinamica naturale tra piante e erbivori.
L’idea centrale consiste nell’imitare il comportamento di grandi animali selvatici che migrano costantemente seguendo le stagioni e la presenza di predatori. Spostando gli animali, si evita il sovrasfruttamento dei pascoli, si favorisce la formazione dell’humus e si aumenta la capacità del terreno di trattenere acqua e carbonio. Questi processi incidono sulle emissioni di gas serra e possono contribuire a rallentare il riscaldamento globale.
La Royal Society britannica ha riconosciuto il pascolo rigenerativo come un modo a basso costo e senza grandi tecnologie per mitigare l’impatto dell’agricoltura convenzionale. Un rimedio antico che sembra adatto a fronteggiare una delle più pressanti emergenze ambientali contemporanee.
La carne prodotta dagli allevamenti intensivi è uno dei maggiori responsabili delle emissioni globali di gas serra. Secondo la Fao, questa tendenza è aumentata negli ultimi anni con la domanda in crescita soprattutto nei mercati emergenti. Si investe molto su prodotti sostitutivi, come le carni sintetiche o alternative vegane, pensati per ridurre l’impatto ambientale.
Il pascolo rigenerativo propone un’alternativa che lavora sull’ecosistema esistente. Nella vita e nel lavoro di Francesca e Giulio emerge la possibilità di vedere gli erbivori non solo come fonti di carne, ma anche come alleati attivi nella rigenerazione dei terreni e nella lotta ai cambiamenti climatici.
Il documentario mostra questa sfida reale e quotidiana, in cui migliaia di allevatori in tutto il mondo tentano di opporsi a modelli intensivi, portando avanti una piccola rivoluzione con effetti significativi sul piano ambientale e sociale. Le loro storie raccontano una resistenza che va oltre la gestione del bestiame e coinvolge il rispetto per la terra e per le generazioni future.
Nel film, il rapporto tra Francesca e la figlia Brianna rivela un aspetto personale e umano del tema ambientale. L’attenzione ai dettagli della vita quotidiana restituisce al pubblico l’immagine di una famiglia che lotta per un futuro diverso, partendo da scelte concrete.
Un altro elemento forte del documentario è la presenza dei lupi sul territorio. Inizialmente percepiti come una minaccia, i lupi diventano una figura simbolica che riflette il conflitto stesso tra uomo e natura. Nel susseguirsi degli eventi si dischiude una metafora complessa che invita lo spettatore a riflettere sui ruoli e sulle contraddizioni di questa convivenza.
La narrazione suggerisce come la natura stessa ponga domande difficili e costringa a ripensare a vecchie convinzioni. Il film di Michele Cinque sfida lo spettatore a considerare il legame profondo tra uomini, animali e ambiente, senza semplificazioni.
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