Tra i progetti che uniscono storie di giovani malati di tumore e il racconto diretto della loro esperienza, “Ho preso un granchio” si conferma una produzione unica nel suo genere. La seconda stagione della web serie, presentata durante i Giffoni Film Festival, porta ancora una volta in primo piano le voci di adolescenti e ragazzi alle prese con la malattia ma soprattutto con la voglia di vivere la propria quotidianità. I protagonisti, insieme a un cast di guest star, offrono un punto di vista personale che muove dall’umorismo e dalla semplicità, e mette al centro soprattutto la normalità come bisogno e desiderio.
Edoardo, uno dei protagonisti di “Ho preso un granchio”, racconta con naturalezza ciò che vuole chi ha 15-17 anni e convive col cancro: essere trattati normalmente. Questo non è un semplice slogan ma una richiesta autentica. Per questi giovani la malattia non deve cancellare la loro vita, le loro emozioni, le abitudini e le relazioni. Lo stesso Edoardo sottolinea come “la normalità è la cosa che gli manca di più” perché spesso chi li circonda si rivolge loro con atteggiamenti diversi, che rischiano di isolarli o farli sentire “diversi” dagli altri coetanei.
Al centro di questa seconda stagione ci sono 25 adolescenti che partecipano attivamente alla creazione della serie. Ognuno porta la propria storia, le proprie idee, e contribuisce alla scrittura e all’interpretazione degli episodi, sette in totale. Il meccanismo restituisce autenticità e immediatezza e permette di raccontare con ironia e schiettezza aspetti della quotidianità in ospedale senza edulcorazioni o pietismi.
“Ho preso un granchio” nasce nell’ambito del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Il sostegno arriva anche da Mediafriends, un ente filantropico legato a Mediaset, insieme a Mondadori e Medusa. La presidenza è affidata a Pier Silvio Berlusconi, e la produzione è curata dalla Fondazione Bianca Garavaglia Ets.
Questa rete di realtà mette a disposizione risorse e visibilità per diffondere il messaggio della serie e amplificare la voce dei giovani protagonisti. Il coinvolgimento diretto di ragazzi in cura oncologica rende il progetto molto più di una semplice serie web: diventa un mezzo per educare, sensibilizzare e far sentire meno soli chi vive questa esperienza.
La presenza al Giffoni Film Festival dello showrunner Cristiano Nardò, del regista Tobia Passigato e del dottor Billi di Mediafriends ha sottolineato proprio l’importanza di progetti che uniscono impegno sociale e qualità artistica.
Tra le presenze più attese in questa nuova stagione c’è il ritorno di Aldo, Giovanni e Giacomo, amatissimi anche dal pubblico della prima edizione. Il regista Tobia Passigato ha rivelato che Giovanni stesso aspettava con entusiasmo di partecipare nuovamente, segno di un legame autentico con la causa e con i ragazzi.
Non mancano nuovi volti noti come Gerry Scotti e Juliana Moreira, che arricchiscono ulteriormente il cast. Queste collaborazioni portano attenzione mediatica al progetto ma, soprattutto, mostrano un interesse reale per storie poco raccontate dalla tv tradizionale. Il loro contributo permette di creare un racconto più ampio e variegato, che aiuta a staccare lo sguardo dalla malattia e a osservare la vita dei giovani protagonisti da più angolazioni.
Il professor Andrea Ferrari, a capo del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ha commentato l’importanza di portare nell’ambiente ospedaliero elementi come musica, colori e espressioni creative. Per chi è ricoverato, questi elementi sono un’ancora che rende meno pesante la permanenza in ospedale e restituisce spazio alla gambe, alle emozioni e alle passioni di ogni giovane paziente.
Questa filosofia rappresenta un approccio che va oltre la cura medica tradizionale, e valuta la persona nella sua interezza, compresi i suoi sogni, la scuola, i rapporti affettivi e la famiglia. Il ruolo del medico non deve limitarsi a combattere la malattia, ma anche sostenere il percorso di vita di ogni persona, garantendo che malattia e futuro possano coesistere.
Il progetto mostra come il coinvolgimento diretto dei giovani, che diventano autori dei propri racconti, possa avere effetti positivi sia per loro sia per chi lavora accanto a loro. La creatività serve a liberare tensioni, dare voce a emozioni difficili e alimentare una speranza concreta.
L’attenzione e la partecipazione intorno a “Ho preso un granchio” testimoniano quanto questi temi rimangano urgenti e quanto la cultura possa giocare un ruolo decisivo anche negli ambienti clinici.
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