La Corte di Cassazione ha chiarito che il licenziamento di un lavoratore non può avere come unico motivo la volontà di sostituirlo con un altro dipendente. Questa decisione, emessa il 3 luglio 2025, ribadisce limiti precisi nel rapporto di lavoro e impone al datore una serie di obblighi prima di procedere a una risoluzione contrattuale. Il caso oggetto della sentenza riguarda un lavoratore con una lunga anzianità e specifiche tutele, che è stato licenziato nonostante la disponibilità a cambiare mansione.
Il contesto del licenziamento e le tutele del lavoratore
Il lavoratore protagonista della vicenda contava vent’anni di servizio in azienda, dove aveva ricoperto diverse mansioni. Era beneficiario di diritti molto specifici previsti dall’articolo 3 della legge 104/1992, grazie all’impegno nell’assistenza al coniuge disabile, con invalidità riconosciuta all’80%. Queste condizioni imponevano una particolare attenzione da parte del datore di lavoro nella gestione del rapporto.
Il licenziamento era stato motivato dalla soppressione della posizione lavorativa, una motivazione da considerarsi “oggettiva”. Malgrado ciò, i giudici hanno sottolineato che l’azienda avrebbe dovuto valutare ogni possibile alternativa per mantenere occupato il dipendente. L’obbligo di ricollocazione poteva coinvolgere anche un cambio di mansione, purché rispettoso della professionalità e delle esigenze personali, soprattutto quelle derivanti dalle tutele di legge.
L’azienda però si era limitata a proporre un posto diverso con orari incompatibili con gli impegni di assistenza familiare, ignorando le richieste del lavoratore che aveva offerto la propria disponibilità a qualsiasi mansione pur di mantenere il rapporto di lavoro. Le alternative vagliate erano poche e non rispondevano alle esigenze del dipendente, mettendo in evidenza una gestione superficiale da parte del datore.
Le modalità di ricollocamento e la mancata valutazione aziendale
Il datore di lavoro aveva proposto una posizione con un orario a doppio turno, soluzione che il lavoratore ha rifiutato per motivi di assistenza al coniuge disabile. La programmazione precedente prevedeva turni fissi e orari continuativi, fondamentali per garantire la continuità dell’assistenza. Il dipendente aveva manifestato apertura a svolgere mansioni anche inferiori, ma chiedeva il mantenimento dello stesso orario.
Nonostante l’atteggiamento collaborativo dimostrato, l’azienda ha reso esecutivo il licenziamento senza vagliare altre strade. L’istruttoria ha rivelato poi che, negli stessi periodi, la società aveva assunto nuovi lavoratori e utilizzato personale somministrato per attività simili a quelle del dipendente licenziato. Ciò dimostra che la posizione del lavoratore poteva essere ricollocata, contraddicendo la giustificazione data per il licenziamento.
Questo comportamento mette in discussione la legittimità del recesso, evidenziando una mancata applicazione dell’“obbligo di repêchage”. Il datore doveva assicurarsi di aver esaminato tutte le possibilità di mantenere il dipendente in azienda, evitando decisioni affrettate o motivate da scelte organizzative non comprovate.
Principi giuridici e tutela del lavoratore disabile nel licenziamento
La sentenza ribadisce l’importanza del principio di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro. Questi valori sono più stringenti quando si tratta di soggetti con specifiche necessità tutelate dalla legge, come chi assiste familiari disabili. Non è consentito licenziare senza aver cercato soluzioni adeguate che salvaguardino la posizione del lavoratore.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 59/2021, ha già stabilito che il licenziamento per motivo oggettivo deve rappresentare l’ultima spiaggia, utilizzata solo in assenza di alternative valide. In questa situazione, appare violato il principio secondo cui la cessazione del rapporto lavorativo deve essere sempre “extrema ratio”.
Oltre a violare obblighi specifici, l’azienda è risultata inadempiente nella verifica di soluzioni compatibili con le esigenze personali del dipendente. La tutela dell’assistenza al familiare disabile non può essere subordinata a cambiamenti di orari o mansioni che ne compromettano il rispetto. Il mancato rispetto di questi aspetti ha reso il licenziamento illegittimo.
Conseguenze legali e possibilità per il lavoratore licenziato
La Corte ha stabilito che tale licenziamento non può considerarsi giustificato. Oltre al difetto di motivo oggettivo, sono stati violati gli obblighi di ricerca della ricollocazione. Queste mancanze aprono spazio per la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro o, in alternativa, per un indennizzo a tutela dei suoi diritti.
In caso di illegittimità, il lavoratore ha diritto a veder riconosciuto il proprio ruolo, con conseguenze economiche importanti per il datore di lavoro. La sentenza rafforza l’idea che il licenziamento debba sempre rispettare una serie di passaggi e controlli, soprattutto quando si tratta di figure protette.
Il caso sottolinea anche l’importanza di non limitarsi a motivazioni apparenti o a scelte di comodo da parte dell’azienda, ma di garantire uno sforzo concreto e documentabile nella ricerca di soluzioni alternative. Le imprese devono considerare le condizioni personali dei dipendenti, specie quando coinvolte tutele legali particolari.
Il verdetto della cassazione ribadisce il quadro normativo a tutela dei lavoratori, disponendo che il licenziamento per sostituzione va pertanto escluso se non emerge una valida giustificazione legata a comportamenti gravi o insufficiente rendimento.