La morte di Antonella Di Veroli, avvenuta nel 1994 a Roma, torna ora al centro dell’attenzione della giustizia. A più di trent’anni dall’omicidio irrisolto della commercialista, la procura ha deciso di riaprire le indagini affidandole ai carabinieri del nucleo investigativo locale. La decisione arriva dopo una nuova istanza presentata dalla famiglia della vittima nel 2024, puntando a riavviare l’esame dei vecchi reperti con l’aiuto delle nuove tecnologie investigative.
Dopo decenni senza sviluppi concreti, l’inchiesta sulla morte di Antonella Di Veroli ha ricevuto nuova linfa in aprile 2024, quando l’avvocato Giulio Vasaturo, rappresentante legale dei familiari, ha chiesto formalmente la riapertura del caso. La procura di Roma ha accolto la richiesta e ha assegnato agli investigatori il compito di riesaminare il materiale raccolto durante le prime indagini. La famiglia, da tempo in cerca di risposte, spera che questa nuova fase porti a chiarimenti decisivi, soprattutto grazie alla possibilità di analizzare il materiale con metodologie più avanzate.
Il lavoro degli inquirenti si concentra su elementi già sequestrati nel ’94, come bossoli di piccolo calibro che potrebbero contenere tracce biologiche o impronte digitali mai prima esaminate a fondo. L’attenzione è puntata anche su un’impronta rilevata sull’anta dell’armadio in cui fu nascosto il corpo di Antonella. L’uso di strumentazioni moderne promette di offrire dati nuovi rispetto alle tecniche di indagine allora disponibili. Il nucleo investigativo dei carabinieri, noto per le capacità nelle analisi scientifiche, sta seguendo la pista con molta attenzione.
Antonella Di Veroli fu trovata morta nel suo appartamento di Monteverde, a Roma, con un colpo di pistola alla testa. Il modo in cui il corpo venne nascosto restò da subito inquietante: la donna era stata chiusa in un armadio, con un sacchetto di plastica sulla testa. Le circostanze del delitto suscitarono immediatamente una forte impressione, ma non portarono a una conclusione definitiva. Negli anni, la mancanza di piste chiare ha mantenuto il caso aperto ma senza sviluppi giudiziari rilevanti.
Il quartiere Monteverde, all’epoca come oggi, è una zona residenziale della capitale. La figura di Antonella Di Veroli, professionista nel campo della contabilità, non sembrava avvolta in vicende particolarmente rischiose o misteriose. Ciò rese ancora più complesso il lavoro degli investigatori, che non riuscirono a individuare un movente concreto né un possibile sospetto con prove solide. La dinamica del delitto restò così avvolta nel mistero mentre la giustizia non riusciva a fare passi avanti significativi.
La sorella di Antonella, Carla Di Veroli, preferisce per ora non rilasciare dichiarazioni pubbliche, affidandosi al proprio legale per comunicazioni ufficiali. Ha espresso comunque un sentimento di rispetto verso il lavoro degli inquirenti in questa nuova fase della ricerca della verità. Il sentimento della famiglia è quello di una fiducia che si rinnova, accompagnata da una gratitudine verso chi in questi anni non ha mai abbandonato l’ipotesi di un possibile sviluppo nelle indagini.
La speranza è legata a un possibile avanzamento grazie alla tecnologia che non c’era negli anni ’90. Impronte da analizzare con strumenti più precisi, verifiche sui materiali conservati e nuovi accertamenti balistici potrebbero finalmente fornire indizi utili a chiudere il capitolo di uno degli omicidi rimasti aperti più a lungo nella capitale. I carabinieri, incaricati del caso, lavorano con prudenza e rigore, consapevoli delle difficoltà ma anche del valore che una svolta potrebbe avere per i familiari di Antonella e per la giustizia romana.
La riapertura di questo fascicolo rappresenta un passo importante per il sistema investigativo di Roma, segnando il segno di una volontà concreta di rivisitare casi complessi con nuovi mezzi. Il futuro degli accertamenti resta incerto, ma dopo trentuno anni una nuova indagine si è messa in moto per scoprire ciò che finora era rimasto nascosto.
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