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Ergastolo per il clan Licciardi nell’omicidio di Salvatore Esposito detto Totoriello a Napoli

L’omicidio di Salvatore Esposito, noto come Totoriello, si è concluso con condanne severe pronunciati dal giudice per le indagini preliminari di Napoli. L’uomo fu ucciso nel 2013 per una relazione che aveva intrecciato con la moglie di un esponente di spicco del clan Licciardi, uno dei gruppi criminali più noti dell’area di Secondigliano. A distanza di oltre dieci anni, il cold case ha trovato nuova luce grazie alle indagini dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Napoli.

La scoperta del cold case e le indagini dei carabinieri

L’omicidio di Esposito era rimasto un caso irrisolto per anni, fino a quando una intercettazione telefonica legata a un’altra indagine non ha acceso l’attenzione delle forze dell’ordine. Nel dialogo intercettato, emergeva un riferimento indiretto alla sorte di Totoriello. I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Napoli hanno così riaperto il fascicolo su un delitto rimasto nell’ombra.

Le indagini successive hanno permesso di ricostruire la dinamica del reato e identificare i responsabili. I militari hanno raccolto elementi che hanno collegato Paolo Abbatiello, Gianfranco Leva e Raffaele Prota, figure di rilievo all’interno del clan Licciardi, alle responsabilità sul delitto.

Questi tre, considerati mandanti dell’omicidio, erano riusciti a rimanere latitanti per anni. Solo nel maggio 2023 il Ros ha potuto eseguire gli arresti, segnando un passo importante nel contrasto alla criminalità organizzata a Napoli.

La dinamica del delitto e il ruolo del clan Licciardi

Salvatore Esposito venne attirato in una trappola mortale, organizzata per ordine del clan Licciardi, gruppo che da decenni controlla il territorio napoletano. La vittima era coinvolta in una storia sentimentale con la moglie di Giovanni Licciardi, figlio di Gennaro Licciardi, detto “la scimmia”, fondatore del clan omonimo. La relazione coniugale proibita scatenò una vendetta estrema.

L’incontro fatale avvenne il 27 settembre 2013 in una zona remota delle cave di tufo a Chiaiano, quartiere periferico di Napoli. Gli uomini del clan simularono un appuntamento casuale per ingannare Esposito, facendo riferimento a una visita al marito di Maria Licciardi, sorella di Gennaro. Quell’escamotage servì a deviare il percorso della vittima verso il luogo prestabilito per l’agguato.

Qui Totoriello fu raggiunto da colpi di pistola. L’omicidio non si fermò al crudele assassinio: il corpo venne sciolto nell’acido per cancellarne ogni traccia, utilizzando un bidone riscaldato con un bruciatore. Una procedura brutale, simbolo del potere e della spietatezza esercitati dal clan per mantenere il controllo nel territorio.

Le condanne emesse dal giudice per le indagini preliminari

Il processo abbreviato si è concluso con una sentenza severa. Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Valentina Giovanniello, ha inflitto la condanna all’ergastolo a Paolo Abbatiello e Gianfranco Leva. Raffaele Prota è stato condannato a otto anni di reclusione.

La decisione è basata su prove raccolte nel corso delle indagini e testimonianze che hanno chiarito la responsabilità degli imputati nell’omicidio di Esposito. Il magistrato ha riconosciuto il delitto come un omicidio commesso per ordine diretto del clan, motivato da ragioni di “onore” legate alla relazione sentimentale della vittima con la moglie di Giovanni Licciardi.

Le condanne rappresentano un segnale forte contro le attività criminali della Alleanza di Secondigliano, realtà che ha dominato per anni la scena criminale nella periferia nord di Napoli.

Il contesto criminale e l’impatto sul quartiere di chiaiano

Il quartiere di Chiaiano ha visto negli anni diverse forme di controllo da parte dei clan malavitosi. Le cave di tufo, ormai luogo simbolo di quel crimine, raccontano una pagina dolorosa della comunità locale, segnata da violenze e intimidazioni.

La figura di Gennaro Licciardi, detto la scimmia, ha rappresentato per anni l’autorità criminale del territorio. Il suo clan è tra i fondatori della Alleanza di Secondigliano, una rete criminale che ha imposto il suo potere attraverso traffici illeciti, estorsioni e violenze simili all’omicidio di Totoriello.

L’arresto e la condanna dei mandanti colleghi del gruppo rappresentano un momento significativo nelle operazioni di smantellamento di queste organizzazioni. La scelta di uccidere Esposito e il tentativo di cancellarne le tracce con metodi così brutali mostra ancora una volta i metodi di coercizione utilizzati per mantenere il controllo sulle comunità coinvolte.

La vicenda ha attirato attenzione anche per la crudezza del delitto e il modo in cui la malavita cerca di gestire questioni “private” con violenze pubbliche, mettendo in luce quanto profondo sia il legame tra mafia e territorio nella provincia napoletana.

Paolo Ludovichi

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Paolo Ludovichi

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