Un incontro fra due protagonisti della scena italiana e internazionale svela un pezzo di storia poco noto del pontificato di giovanni paolo ii. Il colloquio riservato con giovanni spadolini, avvenuto il 4 marzo 1994 in Vaticano, emerse solo di recente grazie alla pubblicazione integrale sulla rivista nuova antologia. Le parole del papa polacco raccontano il suo desiderio di visitare mosca e le difficoltà ancora aperte nel rapporto tra la chiesa cattolica e quella ortodossa. Ma non solo: si parla di crisi e tensioni internazionali, del ruolo della fede nelle nazioni e della responsabilità morale dei leader.
Giovanni paolo ii manifestò apertamente la sua intenzione di andare a mosca, una visita che mai prima un papa aveva realizzato. Quel desiderio, espresso nel 1994 davanti a spadolini, però scontrava con ostacoli concreti. Da una parte, eltsin e il governo russo sembravano disponibili, dall’altra la chiesa ortodossa russa manteneva un atteggiamento di chiusura molto netto. Il pontefice era consapevole che un viaggio simile avrebbe rappresentato un passo storico nel dialogo tra cattolicesimo e ortodossia, sostenendo la possibilità di recuperare una unità spirituale che avesse ripercussioni anche sulla stabilità geopolitica europea.
Nelle sue parole traspariva l’idea che la Russia, parte fondamentale dell’Europa, rischiasse di essere trascinata verso una cultura di matrice asiatica se non fosse stato possibile sanare quella rottura ecumenica. La sua visione andava oltre la fede, coinvolgeva l’identità di un continente e il suo equilibrio politico. Quel confronto riservato assume così il valore di un documento emblematico per comprendere la sensibilità del pontefice su questioni geopolitiche tanto delicate quanto poco divulgate all’epoca.
Il colloquio tra giovanni paolo ii e giovanni spadolini era rimasto fino a ora nascosto negli archivi della fondazione spadolini nuova antologia a firenze. Solo oggi, nella rivista nuova antologia diretta da cosimo ceccuti, viene pubblicato integralmente questo scambio, legato a due ricorrenze: il centenario della nascita dello statista fiorentino e i venti anni dalla morte di karol wojtyła. Il testo mostra una conversazione intensa, lunga oltre 40 minuti, durata più del doppio del tempo previsto dal protocollo. Si trattava di un incontro che superava il mero scambio formale tra un ex presidente del consiglio italiano e il pontefice, rivelando la complicità di due intellettuali impegnati a leggere storia, fede, cultura e politica in modo intrecciato.
Spadolini si presentò con due regali particolari: un’edizione di “gli uomini che fecero l’Italia”, simbolo della lotta per l’unità nazionale in un momento di forte spinta secessionista, e un’antologia di scritti della rivista antologia di vieusseux dedicata alla polonia. Questi volumi evocavano la storia condivisa tra fede e patriottismo, tema caro a giovanni paolo ii, per il quale la polonia rappresentava non solo un paese, ma un’anima spirituale da tutelare e difendere. Nel corso del dialogo, spadolini raccontò dell’emozione del papa nel sentire quel legame evocato da una citazione di tommaseo, a sottolineare l’importanza di una storia di resistenza e fede intrecciate.
Il discorso tra i due protagonisti si spostò poi sulle crisi internazionali, senza interesse per le imminenti elezioni politiche italiane. Giovanni paolo ii mostrò particolare attenzione verso la situazione in cina, dove la nomina dei vescovi resta un problema irrisolto a causa dell’influenza della cosiddetta chiesa patriottica, legata al regime. Ma, emergerebbe anche uno spiraglio di dialogo tra roma e pechino, tenuto vivo da incontri riservati e segnali di distensione. Il papa si informava sulla situazione del vescovo di shanghai con attenzione quasi paterna.
Molto spazio prese anche il tema della guerra nei balcani, con una valutazione netta sulla confederazione tra croati e bosniaci, l’intransigenza serba e il ruolo della russa, spesso in bilico tra interessi politici e affiliazioni religiose. La denuncia del genocidio dei musulmani in bosnia da parte di giovanni paolo ii fu apprezzata da spadolini, e il pontefice riconobbe la risonanza avuta anche fra il mondo islamico.
L’india meritò una riflessione profonda nell’incontro: la forza creatrice di gandhi nel plasmare l’india moderna venne accostata alla laicità di mazzini e alla complessità di un paese segnato dall’eredità coloniale britannica. Il papa spiegò la fragilità sociale e politica che si accompagnava alla tenuta democratica, riconoscendo la necessità di mantenere vivo un messaggio universale come quello di gandhi.
Quel colloquio è più di un semplice documento storico. Rappresenta l’intesa tra due figure che hanno segnato la storia italiana e mondiale, non solo per il loro ruolo istituzionale, ma anche per la capacità di riflettere profondamente su questioni di fede, politica e cultura. Spadolini descrive lo stile del papa con molta cura: “una voce pacata, qualche fatica con l’italiano ma un tono che sembrava quasi quello di due compagni di scuola.” L’esperienza del pontefice emerge anche nelle sue pause, nella scelta delle parole precise, mosse da una stanchezza che però non attenuava la lucidità.
Il confronto è uno sguardo rivolto sia all’occidente che all’oriente, un ponte tra mondi diversi. I temi trattati – dallo spinoso dialogo con la chiesa ortodossa allo scenario di crisi nei balcani fino alle dinamiche asiatiche – resteranno attuali anche negli anni a venire. Quel dialogo racconta una capacità di ascolto e di visione che oggi, forse, manca alla politica e ai leader. Rimane un pezzo di memoria raccolto grazie a chi ha saputo custodire e, infine, rendere accessibile questo scambio intimo tra un papa e un uomo politico.
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