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Oliver Stone al Marateale racconta il proprio legame con il cinema italiano e gli inizi della carriera

Oliver Stone ha scelto il festival Marateale per parlare del suo rapporto profondo con il cinema italiano e degli anni che hanno segnato la sua formazione personale e professionale. All’interno del teatro sul mare di Santavenere, accolto da un lungo applauso, il regista premio Oscar ha dialogato con studenti di cinema e pubblico ripercorrendo tappe fondamentali della sua vita. La conversazione ha toccato episodi chiave della sua cronistoria, con riferimenti al suo libro autobiografico “Cercando la luce”, pubblicato anche in Italia e che racconta i primi 40 anni della sua vita.

Il primo incontro con il cinema italiano e la svolta durante la giovinezza

Oliver Stone ha parlato del cinema italiano come di un punto di svolta nella sua esistenza e carriera. Ricorda di aver visto “Novecento” almeno sei volte, un film che gli è rimasto dentro, e di aver assistito a “La Dolce Vita” di Fellini all’età di 14 anni con sua madre, un’esperienza che considera il suo vero battesimo cinematografico. Anche “Il caso Mattei” di Francesco Rosi ha avuto un impatto decisivo, aprendo la sua mente verso il mondo del cinema d’inchiesta e racconti veritieri. Queste pellicole gli hanno fatto capire cosa voleva davvero fare nella vita: raccontare storie significative attraverso il grande schermo, ispirandosi a modelli italiani che mescolano arte e denuncia sociale.

Uno stile italiano influente

Lo stile italiano ha quindi influenzato Stone nella costruzione della sua identità e nella scelta dei temi. Ammette che molte delle sue opere si inseriscono in questo solco, spostandosi tra biografie, testimonianze di guerra e riflessioni politiche, con un occhio sempre attento alla realtà e alle sfumature del racconto. Nel corso del tempo ha mantenuto vivo questo debito culturale con un cinema che ha saputo dargli esempi di coraggio e profondità.

Gli anni formativi: dal vietnam alla scuola di cinema di new york

La sua autobiografia raccoglie gli episodi cruciali dei primi 40 anni di vita. Nato da madre francese e padre americano, Stone ricorda la separazione dei genitori negli anni ’60, un evento raro e sociale diverso per quei tempi. A 19 anni decide di recarsi in Vietnam come insegnante in una scuola cattolica, esperienza che anticipa il suo successivo arruolamento militare nel conflitto. Da soldato rimane ferito e riceve la medaglia d’onore, un riconoscimento che testimonia il suo ruolo diretto in uno dei periodi più controversi della storia americana.

Il percorso universitario e le prime sfide

Dopo la guerra, rientrato negli Stati Uniti, si iscrive alla New York University Film School, dove ha come maestro Martin Scorsese. Quest’ultimo gli consiglia di fare un film personale per debuttare. Il corto “Last Year in Viet Nam”, del 1971, racconta la storia di un veterano e segna l’inizio della carriera da regista di Stone. Quegli anni sono segnati dal confronto con la Nouvelle Vague francese, a cui Stone si ispira nel tentativo di creare opere in bianco e nero dallo spirito rivoluzionario.

La strada non è priva di ostacoli: tra sceneggiature scritte per altri e progetti incompiuti, Stone incappa in una serie di fallimenti. Nel frattempo il suo impegno diventa più investigativo: lavora a un trattamento sul rapimento dell’ereditiera Patricia Hearst, che rappresenta la prima vera indagine su come il governo interferisca con le vicende pubbliche e private. Questo lavoro apre la strada a un tipo di cinema a metà tra inchiesta e intrattenimento che sarà caratteristico delle sue opere successive.

Il salto di qualità con platoon e la ricerca di una nuova strada

Dopo un primo film a basso budget come “Salvador”, che non raggiunge grande successo, Stone fatica a trovare una sua voce definitiva. La svolta arriva con “Platoon”, pellicola legata all’esperienza diretta in Vietnam, che segna un punto di svolta nella sua carriera. È il momento in cui riesce a unire la sua passione per la verità con la capacità di creare cinema che cattura l’attenzione del pubblico e della critica.

La verità come intrattenimento

Il regista spiega come la verità, anche quella cruda, possa diventare intrattenimento e appassionare lo spettatore. Dietro a questo c’è un lavoro di ricerca e dedizione che inizia nei dettagli più piccoli. Stone descrive questo passaggio come essenziale per affermarsi come autore riconosciuto, pur ricordando le difficoltà che hanno accompagnato questo percorso. Intanto, resta concentrato sul prossimo futuro, con un nuovo progetto in cantiere ancora segreto per evitare imitazioni.

Un racconto aperto: la seconda parte dell’autobiografia e il rapporto con la politica

Stone ha anche annunciato di lavorare alla seconda parte della propria autobiografia, che analizzerà i successivi 40 anni di carriera e vita. Questa parte si preannuncia ricca di racconti, aneddoti e riflessioni sugli errori fatti e sulle lezioni tratte dal mestiere difficile del regista. La sua esperienza si legge come ossessione: un mestiere complesso che richiede passione assoluta.

Politica e cinema

La politica resta un argomento che caratterizza molte delle sue opere e la sua stessa figura pubblica. Stone si definisce da sempre anti-militarista. A proposito delle recenti vicende americane, ha spiegato che le difficoltà nelle relazioni tra Usa e Russia risalgono a un periodo precedente a Trump, sottolineando una continuità storica spesso sottovalutata. Il rapporto con l’America, che in passato lo ha visto anche come persona non gradita per il suo sguardo critico, sembra attraversare ora una fase di miglioramento, segno forse di una maggiore riconciliazione tra artista e paese.

Paolo Ludovichi

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