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Omicidio a cassino, il ruolo della malattia mentale e l’abbandono delle istituzioni nel processo di sandro di carlo

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Un episodio di cronaca nera scuote Cassino, con la morte di Yirelis Santana e il processo che vede coinvolto il 27enne Sandro Di Carlo. Al centro del dibattito emerge un caso più ampio di fragilità mentale e mancate risposte da parte delle istituzioni sanitarie e giudiziarie. La vicenda si dipana tra accuse di omicidio volontario aggravato e una difesa che punta sull’incapacità della vittima e dell’imputato di affrontare un destino segnato da disturbi psicologici e sistemi inefficienti.

Il fatto di sangue e la dinamica dell’omicidio a cassino

La morte di Yirelis Santana, 34 anni, dominicana residente a Cassino, è avvenuta in modo improvviso e violento. Il 27enne Sandro Di Carlo è accusato di averla colpita con quattro coltellate durante un incontro privato, trasformato in tragedia da un’ondata di rabbia. L’episodio risale ad alcuni mesi fa ed è stato ricostruito dall’accusa come un delitto scaturito da futili motivi, tanto da far chiedere al pubblico ministero una condanna a 24 anni di carcere per omicidio volontario aggravato. Il contesto però è più complesso di un semplice episodio di violenza: emerge un quadro di sofferenza mentale che ha condotto a questo epilogo.

Le prime analisi e le incertezze sulla lucidità

Le prime analisi sul caso indicano che quel momento di violenza sia stato frutto di una perdita di controllo da parte di Di Carlo. La procura sostiene la colpevolezza piena e un’aggressione premeditata o quantomeno volontaria. Tuttavia, il comportamento dell’imputato immediatamente dopo il fatto – ha lasciato tracce confuse sulla scena, è rimasto vicino al corpo della vittima, ha addirittura portato via un orologio dal valore modesto – fa dubitare della sua lucidità. La Corte d’Assise di Cassino, presieduta da Claudio Marcopido, sta cercando di fare chiarezza tenendo in conto anche questi elementi.

La difesa e il disturbo borderline: una storia di disperazione trascurata

Gli avvocati Sandro Salera e Alfredo Germani difendono Di Carlo puntando sul disturbo borderline della personalità di cui soffre da tempo. Secondo il loro racconto, il giovane ha attraversato anni di sofferenza senza cure adeguate. Due sentenze definitive, pronunciate nel 2019 e poi nel 2022, avevano indicato chiaramente la necessità di un ricovero continuativo in strutture psichiatriche per proteggerlo e contenere i suoi problemi. Quegli ordini però non sono mai stati portati avanti: né le autorità, né i servizi sanitari hanno seguito concretamente quei provvedimenti.

Il rifiuto istituzionale e le conseguenze

Per la difesa, questo rifiuto istituzionale ha pesato profondamente. Il malessere di Di Carlo è aumentato, così come la sua instabilità. Interruzioni di terapie, assenza di controlli e mancanza di supporto hanno creato un terreno fertile per la degenerazione mentale. Il legale Salera ha parlato di una persona “confusa e dissociata”, incapace di intendere e di volere al momento del fatto. La difesa insiste sull’importanza di considerare la malattia prima di giudicare il gesto, affermando che “se il sistema sanitario avesse agito, questa tragedia si sarebbe potuta evitare.”

Le ombre di un sistema che non ha custodito la salute mentale

Il caso di Sandro Di Carlo mette in luce un problema più ampio, noto da tempo: la carenza di attenzione e di risorse per chi soffre di disturbi psichici. Non a caso, il giovane era già noto agli inquirenti e ai servizi sociali, con due sentenze che indicavano la sua instabilità grave. Eppure è stato lasciato senza un percorso di cura e senza sostegno. Questo evidenzia la fragilità delle reti di protezione per chi si trova in crisi mentale.

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Appare un quadro di abbandono, con istituzioni che non hanno saputo intervenire efficacemente, nonostante le evidenze. Il pubblico ministero, convinto della responsabilità di Di Carlo, non esclude un contesto di violenza feroce. Ma il processo sta sottolineando l’importanza di riflettere sulle responsabilità collettive nel relegare un giovane malato a un destino senza aiuti. In attesa della sentenza, fissata per il 21 luglio 2025, crescerà il dibattito sul ruolo dello stato nel prevenire simili tragedie, soprattutto in ambito psichiatrico.

Le richieste della difesa e le battaglie legali sul riconoscimento dell’infermità mentale

Nel corso del processo, gli avvocati di Sandro Di Carlo hanno chiesto che venga riconosciuta la totale incapacità di intendere e volere del loro assistito al momento dell’omicidio. Hanno portato prove mediche e testimonianze che indicano una mente fragile, incapace di controllare impulsi violenti. In alternativa, hanno chiesto che venga riconosciuta una semi-infermità mentale che potrebbe ridurre la pena.

Ipotesi alternative e mancanza di approfondimenti

La difesa ha anche evidenziato la mancanza di approfondimenti su altre ipotesi, come eventuali litigate con altre persone, che avrebbero potuto fungere da detonatore per l’aggressione. Questi elementi restano sullo sfondo, ma il nodo rimane la malattia mentale e la sua mancata gestione. Le sentenze del 2019 e 2022 sono un punto cruciale: se fossero state rispettate con ricoveri adeguati, secondo gli avvocati, la morte di Yirelis non avrebbe avuto luogo.

Il processo si sta concentrando sulla relazione tra le condizioni psicologiche di Sandro Di Carlo e l’atto criminale, esplorando il confine tra responsabilità e malattia. La decisione finale della corte fornirà indicazioni importanti non solo per il caso specifico, ma anche per la gestione di casi simili nel resto d’Italia.

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