Tra Latina e Caserta, i carabinieri del nucleo investigativo di Caserta hanno smantellato una presunta operazione di riciclaggio e estorsione, con al centro Ivanhoe Schiavone, figlio di Francesco Schiavone, detto Sandokan, storico boss dei casalesi. L’inchiesta, diretta dalla Dda di Napoli sotto la guida del procuratore Nicola Gratteri e dell’aggiunto Michele Del Prete, ha portato all’arresto di due persone coinvolte in queste attività. Facciamo luce sui dettagli dell’indagine e cosa è emerso circa i terreni oggetto della controversia.
Ivanhoe Schiavone è l’unico figlio maschio di Francesco Schiavone ancora libero. Il padre, noto come Sandokan, è detenuto al regime del 41bis e ha lasciato un’eredità complessa. Nel corso delle indagini, il figlio e un complice sono stati incriminati per riciclaggio, autoriciclaggio ed estorsione. Le accuse si fondano sul fatto che abbiano agito insieme, sfruttando metodi mafiosi e agevolando il clan dei casalesi. Queste accuse comportano pesanti aggravanti, vista anche la natura organizzata e violenta del presunto reato.
L’arresto di Ivanhoe e del suo complice è avvenuto in contemporanea tra Latina e Caserta grazie al lavoro coordinato dei carabinieri guidati dall’ufficio Dda partenopeo. Le forze dell’ordine hanno raccolto abbastanza prove da convincere la procura della sussistenza dei reati. La particolare attenzione è stata rivolta al legame tra le attività illecite e l’utilizzo di beni immobili riconducibili o comunque controllati dal clan.
Al centro dell’indagine ci sono due appezzamenti di terreno estesi per 13 ettari, posizionati vicino all’aeroporto di Grazzanise. Il valore stimato supera i 500mila euro. Questi terreni erano stati intestati originariamente a un prestanome. Lo si è fatto per impedirne il sequestro da parte delle autorità. In seguito alla morte del prestanome, la proprietà è passata ai suoi figli. Essi, però, hanno preso la decisione di affittare quei terreni a una terza persona.
Proprio qui emergono i retroscena criminali. Ivanhoe Schiavone e il suo complice, sarebbe emerso, hanno agito con metodi camorristici per obbligare questa terza persona a rescindere il contratto di affitto. Gli indagati avrebbero imposto anche di rinunciare al diritto di prelazione sui terreni. L’obiettivo era vendere quegli stessi appezzamenti a soggetti già individuati nel giro del clan, così da consolidare il controllo sul patrimonio immobiliare.
Le attività ipotizzate riguardano il tentativo di Ivanhoe Schiavone di recuperare fondi necessari per il clan, utilizzando i terreni come leva economica. Il metodo adottato si basa sull’intimidazione e sulle pressioni tipiche delle organizzazioni criminali campane. L’imposizione di rescindere contratti e rinunciare a diritti legali su proprietà è un meccanismo noto della camorra per mantenere fluida la catena del riciclaggio e delle attività illecite legate agli immobili.
Il fatto che i terreni siano nei pressi dell’azienda agricola del padre di Sandokan non è casuale. Questo territorio rappresenta un punto strategico per il controllo logistico ed economico della zona. Il sequestro preventivo degli appezzamenti, deciso dagli inquirenti, mira proprio a sottrarre alla criminalità organizzata risorse da cui trarre profitto. L’intervento delle forze dell’ordine segnala un’attività di controllo serrata su un patrimonio che da anni viene utilizzato come strumento di potere.
Le indagini e le misure cautelari si inseriscono in un filone di repressione più ampio che punta a spezzare il sistema che ha garantito per anni al clan dei casalesi un ruolo di rilievo sul territorio campano. Gli arresti odierni rivelano un assetto di potere ancora attivo, anche tramite le nuove generazioni legate ai personaggi storici.
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