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Assolti i medici coinvolti nel caso capasso: l’arma restituita sette anni fa e le conseguenze tragiche

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Sette anni dopo una tragedia che ha sconvolto la comunità, si è concluso con l’assoluzione dei due medici il processo relativo al rilascio dell’idoneità al porto d’armi a Luigi Capasso, il carabiniere che sparò alla moglie e uccise le due figlie prima di togliersi la vita. Il tribunale ha stabilito che il fatto non costituisce reato, escludendo quindi responsabilità penali per i medici che avevano firmato i certificati. Sul banco degli imputati c’erano il medico di famiglia Quintilio Facchini e il medico militare Chiara Verdone.

Il contesto della vicenda e il ruolo di luigi capasso

Nel 2018 Luigi Capasso, carabiniere in servizio, utilizzò una pistola di ordinanza per colpire gravemente la moglie Antonietta Gargiulo e togliere la vita alle due figlie, Martina e Alessia, di 9 e 13 anni. Dopo il drammatico episodio in un garage, Capasso si tolse la vita con la stessa arma. Dietro questo tragico gesto si aggira una lenta catena di decisioni e responsabilità che ha portato a interrogarsi sull’idoneità all’uso delle armi da parte del carabiniere.

La pistola in mano a Capasso era stata restituita pochi mesi prima dai comandi militari, dopo una sospensione temporanea. Il nodo del processo si è concentrato proprio sulla certificazione medica che attestava la sua idoneità al porto d’armi, elemento fondamentale per il controllo e la prevenzione di episodi di violenza tra personale armato.

Le accuse rivolte ai medici e il dibattito giudiziario

I medici imputati, Quintilio Facchini e Chiara Verdone, erano chiamati a rispondere dell’accusa di concorso colposo nel duplice omicidio e nei tentati omicidio attraverso la certificazione medica rilasciata a Capasso. L’accusa sosteneva che avessero concesso, con negligenza, l’idoneità al carabiniere nonostante eventuali segnali o condizioni che avrebbero dovuto impedirne l’accesso alle armi.

Il procedimento si è svolto davanti al giudice monocratico Enrica Villani. Nel corso dell’udienza finale, erano presenti la parte civile Antonietta Gargiulo, che si è costituita con i propri legali, nonché i legali difensori dei medici. A conclusione delle discussioni, il giudice ha emesso una sentenza a favore degli imputati, assolvendo entrambi perché “il fatto non costituisce reato”.

Il verdetto ha sollevato reazioni contrastanti e ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema della responsabilità medica e della sorveglianza sulla salute mentale di chi ha accesso ad armi da fuoco in ambito lavorativo.

Implicazioni e riflessioni sulla gestione delle armi in ambito militare e civile

Questa sentenza mette in luce le complessità che circondano il rilascio dei certificati medici per il porto di armi, specialmente nei corpi armati. Il caso di Luigi Capasso evidenzia la difficoltà di stabilire con certezza il rischio reale basandosi su idoneità cliniche che possono non cogliere fattori psicologici profondi o condizioni emergenti.

Lo strumento del certificato medico resta centrale per monitorare l’accesso alle armi di ordinanza, ma questo episodio mostra come il sistema, anche in presenza di controlli, possa risultare insufficiente per evitare tragedie di questo tipo. Le istituzioni militari e sanitarie si trovano al centro di un complesso equilibrio tra tutela della sicurezza e garantire diritti e privacy degli individui.

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Per la parte civile, il verdetto si traduce nella mancata attribuzione di responsabilità diretta ai medici, lasciando aperta la discussione sulle possibili azioni future per prevenire episodi analoghi mediante procedure più rigide o strumenti di controllo più approfonditi.

La reazione della famiglia e la situazione attuale

Antonietta Gargiulo, la moglie ferita quella notte nel garage e parte civile nel procedimento, ha atteso in aula la lettura della sentenza. La donna era accompagnata dagli avvocati Botti e Migliaccio, che hanno difeso i suoi diritti nell’ambito del processo. Il dolore per la perdita di Martina e Alessia si accompagna al peso di dover affrontare un procedimento giudiziario che avrebbe potuto segnalare delle responsabilità per quanto accaduto.

Ora, con la sentenza di assoluzione emessa dal tribunale, la famiglia Capasso resta coinvolta in un quadro di profondo trauma e senza risposte ufficiali sul ruolo dei medici nelle ore precedenti la tragedia. Il caso, anche a distanza di anni, segnala le difficoltà a tutelare le persone quando si tratta di armi in mano a soggetti a rischio.

Gli avvocati difensori hanno sottolineato come si sia rispettato il principio di presunzione d’innocenza, mentre in aula si è mantenuto un clima carico di tensione e attesa. Il procedimento potrebbe influire sulle future prassi di certificazione e sugli stessi protocolli di monitoraggio per il personale armato nelle forze dell’ordine.

Lo sappiamo, restano gli interrogativi e le preoccupazioni sulla sicurezza e prevenzione, ma il tribunale ha deciso sulla base delle prove raccolte. Lo sviluppo di nuove norme potrebbe però arrivare dalle conseguenze di questo caso, che ha scosso la coscienza collettiva sette anni fa.

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