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il boss calabrese “lo zio” guida un gruppo misto albanese-calabrese per il traffico di droga nelle marche

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Un’indagine della squadra mobile di Ascoli Piceno e della Scico di Ancona ha portato a un’importante operazione contro un gruppo criminale attivo nel traffico di sostanze stupefacenti tra le province di Ascoli Piceno e Teramo. Al centro delle indagini c’è un uomo soprannominato “lo zio”, boss calabrese di 50 anni, accusato di usare la violenza contro chi non rispettava le regole del gruppo o non pagava la droga. L’operazione ha portato all’arresto di 14 persone, tra cui alcuni minori e donne coinvolti nelle attività di spaccio.

la struttura del gruppo e il ruolo di “lo zio”

Il boss, in passato legato alla cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura della ‘ndrangheta, è considerato la figura di comando dell’associazione criminale. Il gruppo si è formato attraverso l’alleanza tra esponenti calabresi e albanesi, creando così un sodalizio per la gestione del traffico di droga nelle Marche. La banda non ha esitato a ricorrere alla violenza estrema per mantenere il controllo, intimidendo gli affiliati e i clienti che non saldavano i debiti per le sostanze stupefacenti. L’uso di armi da fuoco era una prassi per imporre la propria autorità.

la figura carismatica di “lo zio”

La figura di “lo zio” emerge come quella del leader carismatico e spietato, che non si limitava a gestire la logistica dello spaccio ma comandava anche le azioni violente all’interno del gruppo. Il controllo passava per azioni dirette verso chi si opponeva o tradiva il consorzio criminale. La sua autorità veniva rafforzata da simboli di potere, come la casa abusiva a San Benedetto del Tronto decorata con leoni e mosaici, un luogo chiave per le attività illecite del gruppo.

Modalità di spaccio e coinvolgimento di minori e donne

L’attività di spaccio si concentrava principalmente su cocaina, hashish ed eroina, con una stima di circa tre chili di droga venduti ogni mese. I guadagni, calcolati in decine di migliaia di euro, alimentavano un circuito che coinvolgeva non solo gli uomini del gruppo, ma anche donne e minori. Alcune ragazze partecipavano direttamente nella fase di taglio, confezionamento e distribuzione, dimostrando come l’organizzazione coinvolgesse tutti i membri della comunità criminale, senza riserve di genere o età.

I minori come corrieri

I minori avevano il ruolo di corrieri per le consegne, sfruttati per evitare attenzioni da parte delle forze dell’ordine e per mantenere un basso profilo nelle attività più visibili. Questa scelta mette in luce la crudeltà e la spregiudicatezza della banda che, pur consapevole dei rischi, ha usato chi era più vulnerabile. Altre figure, quelle albanesi, svolgevano un ruolo integrato nel gruppo, a testimonianza di un affare che superava i confini nazionali e si basava su di una rete consolidata di relazioni criminali.

L’uso della violenza e le comunicazioni dal carcere

Le indagini hanno portato alla luce anche il ricorso sistematico alla violenza. “Picchia! Accoltella! Massacra, non ti far intimidire” era un motto che sintetizzava la spietatezza del boss e del gruppo nel mantenere il controllo. Ogni forma di resistenza veniva soffocata con metodi aggressivi e intimidatori, non solo verso i clienti ma pure verso affiliati meno collaborativi o sospetti.

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Un aspetto preoccupante emerso è la capacità del gruppo di mantenere i contatti anche durante la reclusione in carcere di alcuni membri chiave. Attraverso apparati telefonici nascosti, il sodalizio continuava a ordinare le attività dall’interno delle carceri. La procura di Ancona ha sottolineato che questa circostanza crea un livello ulteriore di pericolosità. Le comunicazioni intercettate rivelano come gli ordini viaggiassero oltre le mura penitentiaria per gestire le operazioni esterne.

L’operazione delle forze dell’ordine e l’impatto sul territorio

L’operazione di questa mattina ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare su 14 persone: 12 si trovano in carcere, due ai domiciliari. Le forze dell’ordine hanno stroncato così un network che ha contaminato territori diversi, mettendo in pericolo la sicurezza e la salute pubblica nelle province di Ascoli Piceno e Teramo. Gli investigatori hanno lavorato a lungo, con intercettazioni e osservazioni sul campo, per ricostruire la complessa dinamica della rete di spaccio.

L’azione congiunta tra squadra mobile e Scico, sotto la direzione della procura antimafia di Ancona, ha dimostrato quanto il fenomeno della criminalità organizzata possa infiltrarsi in aree diverse da quelle tradizionali. L’uso di minori e donne nel traffico, le connessioni tra gruppi etnici diversi, e la persistenza anche dietro le sbarre sono tutti elementi che fotografano una situazione di allerta. Le autorità ora continuano a monitorare la zona per evitare la ricostituzione del gruppo o la nascita di nuove alleanze pericolose.

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