Il museo della moda di Palazzo Pitti a Firenze presenta un nuovo allestimento dedicato alla moda del Novecento. A un anno dall’inaugurazione della sua versione rinnovata, la collezione espone quaranta abiti, alcuni mai mostrati prima, organizzati per decenni dal 1920 fino ai giorni nostri. Ogni sezione mette in dialogo i capi con opere pittoriche, creando un racconto visivo che intreccia arte e abbigliamento.
La nuova narrazione del costume novecentesco attraverso le arti
Simone Verde, direttore delle Gallerie degli Uffizi, sottolinea come questa selezione racconti la moda del Novecento come un vero e proprio linguaggio. Non si limita a mostrare abiti, ma ne evidenzia il ruolo nella trasformazione culturale e sociale, specie nella definizione dell’immagine femminile. Il dialogo tra moda e pittura alimenta una narrazione che va oltre la stoffa, esplorando forme e materiali in dialogo con la creatività artistica. Il concetto chiave è far emergere la moda come patrimonio culturale, capace di affiancare la tradizione pittorica e di trasformarla in qualcosa di tangibile e contemporaneo.
Gli anni venti e la vivacità della moda charleston
La prima sala è dedicata al periodo tra le due guerre, partendo dagli anni Venti con la moda charleston. Qui si trovano abiti leggeri e vivaci, caratterizzati dallo stile delle flapper girls, con originali accenti esotici che richiamano Cina, Giappone e India. In questa sezione spicca un trittico di Galileo Chini, messo a confronto con il vestito della moglie del pittore, che lei indossò alla prima di Turandot al Teatro alla Scala di Milano nel 1926. Questo confronto tra dipinto e abito restituisce un’atmosfera dell’epoca fatta di festeggiamenti e trasformazioni sociali, e collega in modo stretto l’arte figurativa alla moda. I tessuti utilizzati sono sete pregiate, le decorazioni riprendono temi orientali, e il risultato racconta uno stile che guarda al futuro pur mantenendo radici in culture lontane.
Moda tra le due guerre: austerità e glamour cinematografico
Le due sale successive si concentrano sulla moda tra le due guerre, caratterizzata da due opposti: l’eleganza sobria imposta dal clima politico e culturale, e il glamour delle star del cinema anni Trenta. Abiti déco si alternano a creazioni firmate da maison prestigiose come quella di madame Vionnet. In questo periodo le forme si fanno più contenute e rigorose, rispecchiando l’atmosfera del tempo. In mostra c’è anche il dipinto Lo straniero di Felice Casorati, che accompagna questi abiti mostrando una sensibilità artistica affine, fatta di linee pulite e una certa tensione formale. La selezione illustra come la moda si adattasse al contesto storico, privilegiando materiali e tagli meno appariscenti, ma non rinunciando alla ricercatezza del dettaglio.
Gli anni del dopoguerra tra sperimentazione e icone della moda
La moda nel dopoguerra offre un altro capitolo ricco di contrasti. Tra corsetti rigorosi e gonne ampie a ruota, spuntano pezzi unici come un abito giovanile di Yves Saint Laurent firmato per Christian Dior nel 1957. La collezione include anche tre abiti appartenuti a Ingrid Bergman, icona di stile e cinema, tra cui un modello di Gattinoni. Questa sezione mostra come la moda tornasse a festeggiare la femminilità con forme più accentuate, esaltando la silhouette con raffinata eleganza. L’impatto del dopoguerra sulla moda si traduce in un mix di tradizione e nuove linee, che guardano agli anni successivi con un’aria di rinascita.
Dagli anni sessanta agli anni settanta: futurismo e stile iconico
Tre sale sono riservate agli anni Sessanta e Settanta, due decenni segnati da una profonda trasformazione stilistica e culturale. Gli abiti presentano forme a trapezio e linee ispirate allo spazio, firmati da stilisti come André Courrèges, André Laug e Pierre Cardin. L’estetica futuristica traccia nuovi orizzonti per la moda, con materiali innovativi e tagli geometrici che spezzano gli schemi tradizionali. Accanto a questa sperimentazione, una sala dedica attenzione a due figure fondamentali, Roberto Capucci, con le sue creazioni scultoree, ed Enrico Coveri, celebre per i look scintillanti con paillettes. Questi designer rappresentano due diversi approcci alla moda che convivono negli anni Settanta, tra forme artistiche e originalità scenica.
L’archivio e le prospettive future del museo della moda
Il museo custodisce oggi un archivio di circa 15.000 pezzi tra abiti e accessori. L’allestimento appena inaugurato rimarrà in mostra per circa un anno, ma la volontà è di cambiare spesso le selezioni, facendo ruotare i capi esposti in base alle stagioni o a temi precisi. In questo modo ogni visita può offrire uno sguardo nuovo sul patrimonio tessile e sul costume, permettendo di far emergere pezzi rari o poco conosciuti. Questa strategia valorizza non solo la conservazione, ma anche il racconto vivo e materiale della moda attraverso i decenni. Palazzo Pitti conferma così il proprio ruolo come punto di riferimento per chi vuole approfondire la storia del costume attraverso oggetti e opere d’arte messi in dialogo.