Il mistero dietro il volto enigmatico della gioconda torna a far discutere con rivelazioni che scuotono il mondo dell’arte e della cultura. Silvano Vinceti, storico e ricercatore noto per studi alternativi sul rinascimento italiano, mette in dubbio l’autenticità del celebre dipinto esposto al Louvre, attribuendo l’opera non a Leonardo da Vinci ma al suo allievo e collaboratore più vicino, gian giacomo caprotti detto il salai. L’uscita del suo nuovo libro “la gioconda svelata” riapre una pagina controversa mentre il museo francese si appresta a investire grandi somme per un progetto espansivo intorno al capolavoro.
Vinceti avanza la tesi secondo cui la gioconda conservata al Louvre non deriverebbe dalla mano diretta di Leonardo ma da quella di gian giacomo caprotti, soprannominato il salai. Questo giovane artista era stato servo, modello e assistente di Leonardo per oltre vent’anni. Passava per essere un personaggio complicato, descritto nel passato dallo stesso Leonardo come “ladro, bugiardo, ghiotto e ostinato”. Vinceti sostiene che il salai fosse in grado di riprodurre fedelmente le opere del maestro, tanto da poter firmare capolavori come la gioconda. La sua bellezza androgina sarebbe stata anche fonte d’ispirazione per il volto enigmatico e indefinito della donna rappresentata.
La ricerca di documenti storici ha portato alla luce dati importanti, come il pagamento di 2.604 lire francesi fatto nel 1518 da Francesco I al salai per tre quadri, tra cui una gioconda. Questo pagamento, conservato negli archivi nazionali di Parigi e segnalato dallo storico dell’arte Bernard Jestaz, mette in discussione l’assegnazione tradizionale del dipinto a Leonardo. Il Louvre stesso si è espresso sulla questione, menzionando le prove ma ritenendo la somma pagata troppo alta per un allievo semi sconosciuto, attribuendo senza prove precise l’opera al maestro. Questa incongruenza alimenta il dubbio sull’originalità e l’autenticità del quadro esposto nel museo parigino.
L’episodio del furto della gioconda dal museo del Louvre nel 1911 è un altro elemento che Vinceti riconsidera per mettere in dubbio la storia ufficiale dell’opera. Secondo lo storico, il furto non sarebbe stato eseguito dal famoso Vincenzo Peruggia come raccontato, ma dai fratelli Lancellotti, complici di un piano più articolato. Ciò che emerge è che la perizia del tempo, condotta da tre esperti incaricati di certificare l’autenticità della gioconda ritrovata, potrebbe non avere un fondamento solido. Questa perizia è cruciale nella storia dell’opera, e se fosse errata o incompleta, quasi certamente si aprirebbe uno spazio per ipotizzare che il dipinto ritrovato non fosse l’originale ma una copia o un falso d’autore.
Le indagini moderne hanno inoltre rivelato particolari insoliti nel dipinto stesso. Pascal Cotte, esperto francese fondatore della società Lumiere Technology, ha scoperto tracce di un disegno sottostante con l’immagine di una giovane donna diversa da quella visibile sull’attuale gioconda. Tra gli studiosi questa scoperta richiama la consueta pratica degli allievi di Leonardo: esercitarsi riproducendo e modificando i soggetti dei loro maestri. Vinceti interpreta questa sovrapposizione come un ulteriore indizio che attribuisce al salai la paternità diretta o almeno una revisione significativa del quadro.
Dettagli nascosti nella gioconda offrono nuove chiavi per decifrare il mistero dietro questo ritratto. Lettere incise negli occhi, come la “s” e la “l”, e il numero “72” nascosto in una delle arcate del ponte nel paesaggio a destra, sono segnali che attirano l’attenzione degli studiosi. Questi simboli rappresentano sigle o messaggi cifrati lasciati da Leonardo o da chi ha materialmente realizzato il dipinto.
Le interpretazioni sul numero 72 hanno richiamato anche il campo della cabala e della simbologia esoterica presente nell’arte rinascimentale. Questo elemento potrebbe collocare la gioconda in una lettura più ampia che rimanda ad altri dipinti come “angelo incarnato”, attribuito a Leonardo e probabilmente ispirato dal salai come modello. Questi incisi segnano l’opera come un insieme complesso di significati, da decifrare oltre l’apparenza estetica.
Vinceti ha ampliato le sue ricerche tracciando l’itinerario dell’ultimo viaggio compiuto da Leonardo, da Roma fino ad Amboise. Il percorso comprende il passo del Moncenisio vicino al Monte Rocciamelone, un dettaglio ripreso nella parte paesaggistica del dipinto. La scoperta di elementi geografici precisi, come il ponte Romito di Laterina – nella provincia di Arezzo – rafforzano l’idea che l’opera nasconda riferimenti a luoghi reali conosciuti da Leonardo o dal suo ambiente.
Questi dati arricchiscono la tesi di Vinceti, che sostiene come il dipinto sia risultato di una collaborazione stretta tra Leonardo e il salai, o addirittura una copia realizzata da quest’ultimo sulla base di schizzi di Leonardo. La presenza di un disegno preparatorio, rinvenuto sotto un dipinto di El Greco e riconosciuto dallo studioso Carlo Pedretti, aggiunge un altro tassello a questa complessa storia.
L’uscita del libro “la gioconda svelata” in contemporanea con una mostra immersiva a Roma in piazza Navona a settembre promette di rilanciare la discussione su chi abbia veramente dipinto la figura più famosa dell’arte mondiale. I dubbi sull’autenticità del quadro al Louvre spingono a interrogarsi su dove si trovi l’originale leonardesco, se mai è stato esposto in pubblico. La questione resta aperta e susciterà attenzione tra storici, critici e appassionati per i mesi a venire.
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