La steatosi epatica metabolica si rivela un problema serio per chi soffre di obesità e diabete di tipo 2. In Italia manca un farmaco specifico per questa condizione che provoca un accumulo di grasso nel fegato e può degenerare in fibrosi, cirrosi o tumore epatico. Una ricerca italiana, supportata da università straniere, ha individuato un marcatore biologico capace di predire chi risponderà meglio ai trattamenti basati sulla perdita di peso, offrendo nuove prospettive di cura.
Dettagli e obiettivi della ricerca condotta a chieti
Il progetto parte dall’ospedale di Chieti e dall’università “d’Annunzio”, coinvolgendo anche istituzioni straniere come l’università di Zurigo e il Karolinska Institutet di Stoccolma. Questa rete di collaborazione ha l’obiettivo di studiare la steatosi epatica metabolica, una malattia legata allo stile di vita di milioni di persone con obesità e diabete di tipo 2. Il problema è complesso: il fegato accumula grasso in eccesso e questo può portare a danni irreversibili.
In Italia, ad oggi, non ci sono cure farmacologiche specifiche. L’unica strada praticata è la perdita di peso attraverso diete o terapie farmacologiche. Ma come spesso accade, non tutti rispondono allo stesso modo. Il progetto mira a scoprire un indicatore in grado di valutare, prima della terapia, quanto la perdita di peso potrà influire positivamente sull’evoluzione della malattia.
Importanza della molecola il-1β nei monociti come indicatore di risposta alla terapia
La molecola IL-1β, presente nei monociti del sangue, è al centro di questa indagine. La pubblicazione sulla rivista Cardiovascular Diabetology evidenzia che i pazienti con livelli più alti di questa sostanza hanno maggiori probabilità di rispondere bene alla perdita di peso, indipendentemente dal tipo di trattamento scelto.
Il gruppo di ricerca, guidato da Francesca Santilli, ha preso in esame persone con obesità e forme di diabete, messe sotto trattamento con Liraglutide oppure sottoposte a interventi su alimentazione e attività fisica. L’obiettivo era verificare come il fegato reagisse a una riduzione del peso del 7% rispetto all’iniziale. La risonanza magnetica ha mostrato miglioramenti chiari nella condizione epatica di chi ha perso peso.
L’impatto clinico e futuro della scoperta per le terapie personalizzate
I risultati confermano che la misura dei livelli di IL-1β potrebbe diventare un indicatore prezioso per personalizzare la cura della steatosi epatica metabolica. Sapere in anticipo chi trarrà vantaggio dalla perdita di peso consente di indirizzare le cure in modo più preciso. La dottoressa Santilli sottolinea come questa strategia rappresenti un passo avanti nel trattamento delle malattie metaboliche complesse, offrendo ai medici strumenti migliori per scegliere la terapia adeguata a ogni paziente.
Il progetto ha ricevuto finanziamenti dal Ministero dell’Università e della Ricerca, tramite i fondi Prin, a testimonianza del rilievo nazionale dell’iniziativa. L’approccio multidisciplinare e la collaborazione con istituti esteri hanno reso possibile una ricerca di alto livello, capace di aprire nuove strade nella lotta a una patologia diffusa e ancora poco affrontata sul piano farmacologico.