Il festival Radure si appresta a chiudere l’edizione 2025 con tre appuntamenti che mescolano teatro, storia e riflessione civile, ospitati in due suggestivi borghi dei Monti Lepini, Norma e Maenza. L’iniziativa, organizzata dalla Compagnia dei Lepini, si conferma un luogo dove arte e territorio si incontrano per raccontare storie dal forte impatto sociale e culturale. Il fine della rassegna è rendere vivi luoghi e memorie attraverso il racconto scenico, offrendo nuove prospettive sulle vicende che hanno segnato l’Italia e le sue comunità.
Il primo atto a norma: “55 giorni” e la memoria di aldo moro
Il 2 agosto Norma ospita “55 giorni”, spettacolo prodotto dall’Associazione Le Colonne. La rappresentazione prende spunto dal sequestro e dall’uccisione di Aldo Moro nel 1978, uno dei fatti più drammatici della storia repubblicana. Sul palco, si dipana un testo che non si limita a ricostruire la cronaca degli eventi ma entra nel profondo, sondando l’impatto emotivo e collettivo di quei giorni. Lo spettacolo mette a fuoco questioni quali la memoria e la responsabilità, invitando lo spettatore a riflettere su quanto avvenuto senza cadere in facili facili semplificazioni. Le parole e le immagini si intrecciano per dare vita a un’esperienza teatrale che ricostruisce non solo la tragedia politica, ma anche l’eco che essa ha lasciato nella coscienza pubblica. Non si tratta dunque di uno spettacolo documentaristico, piuttosto di un racconto che supera i fatti per esplorare le reazioni della società e il peso di quel lutto storico.
Ascanio celestini a norma: un monologo sulla marginalità e l’esclusione sociale
Il 3 agosto, sempre a Norma, in una cornice di rara suggestione come le rovine dell’antica Norba, va in scena “poveri cristi” con Ascanio Celestini. L’attore e autore romano porta in palco un testo tratto da uno dei suoi libri più noti, che racconta le vite invisibili di persone ai margini della società. Le storie rappresentate sono quelle di donne e uomini che abitano le periferie, luoghi spesso abbandonati a se stessi, dove si mescolano esperienze di isolamento e ricerca di speranza. Lo spettacolo evita ogni forma di retorica e affronta con ironia e profondità il tema dell’esclusione sociale. La forza di Celestini risiede nella capacità di dar voce a chi rimane invisibile, restituendo dignità e complessità a queste esistenze. La scelta di mettere in scena “poveri cristi” tra le rovine di Norba amplifica il senso di decadenza ma anche di resistenza richiamato dal testo. Il monologo si muove tra parole asciutte e cariche di significato politico, costruendo un atto di narrazione che coinvolge e scuote gli spettatori, invitandoli a guardare con più attenzione il mondo che li circonda.
Il gran finale a maenza: “diecigiugnoventiquattro” e l’eccidio di giacomo matteotti
Il 10 agosto il festival si conclude a Maenza con “diecigiugnoventiquattro”, altra produzione dell’Associazione Le Colonne. Lo spettacolo rievoca la vicenda di Giacomo Matteotti, deputato socialista rapito e ucciso dai fascisti nel 1924. La narrazione fonde elementi teatrali e documentaristici per rappresentare non solo i fatti ma il loro significato più ampio. La rappresentazione sottolinea il valore del coraggio e della libertà di espressione, richiamando con forza il ruolo degli intellettuali e dei politici all’interno di una democrazia. Il racconto si rivolge a una riflessione sulla responsabilità civica e sulle conseguenze che la violenza politica può avere su una società. Lo spettacolo si pone come monito e testimonianza, cercando di mantenere viva la memoria di una pagina oscuro della storia italiana non soltanto con le parole ma anche attraverso l’esperienza emotiva del pubblico. Maenza, con il suo patrimonio storico e culturale, diventa così il luogo ideale per questa rappresentazione di impegno civile.
Radure 2025 tra arte, storia e paesaggi culturali nei monti lepini
Questa edizione di Radure chiude il ciclo più recente del festival mantenendo fede alla sua vocazione di intrecciare racconto scenico e territorio. Norma e Maenza ospitano eventi che si rifanno a momenti storici precisi, restituendo alle comunità e agli spettatori un legame diretto con il passato. Il linguaggio teatrale diventa uno strumento per capire più a fondo vicende complesse e per esprimere valori come la memoria, la giustizia e la partecipazione civile. Spettacoli come “55 giorni”, “poveri cristi” e “diecigiugnoventiquattro” confermano l’interesse verso tematiche sociali e storiche forti, trattate con rigore ma anche con grande attenzione all’aspetto umano. Il festival si conclude lasciando nelle piazze e nei borghi un segno che va oltre l’intrattenimento, portando lo spettatore a guardare il presente con occhi diversi, grazie al dialogo serrato tra arte, storia e luoghi.