La vicenda giudiziaria riguardante la morte di Daniela Anna Gabiati, avvenuta nel 2017 a seguito di un intervento di colecistectomia laparoscopica, si è conclusa con l’assoluzione di tutti i medici imputati. La donna era stata operata in una casa di cura ad Aprilia e poi trasferita in ospedale a Roma. L’accusa contestava negligenza e imperizia nel riconoscere e trattare le complicanze post-operatorie che, secondo l’accusa, avrebbero causato un decesso per shock settico. Dopo un lungo processo, il tribunale ha stabilito che il fatto non sussiste, scagionando i sanitari coinvolti.
Il procedimento era nato dagli eventi che seguirono l’intervento di Daniela Anna Gabiati, effettuato nel luglio 2017. L’intervento, una colecistectomia laparoscopica, si svolse presso la casa di cura Città di Aprilia. Dopo l’operazione, la donna segnalò un peggioramento delle sue condizioni e fu necessaria una seconda fase di cure, con un trasferimento all’ospedale Sant’Eugenio di Roma. La Procura ipotizzò che una complicanza grave, una perforazione iatrogena del bulbo duodenale, fosse passata inosservata o non adeguatamente trattata.
Gli accusati erano cinque medici in servizio nella clinica di Aprilia, oltre al responsabile del reparto chirurgia. Erano difesi da un team di avvocati che hanno seguito il lungo iter giudiziario. L’accusa riteneva che i sanitari avessero omesso accertamenti diagnostici necessari, come una laparoscopia o laparotomia esplorativa, indispensabili secondo l’accusa a individuare tempestivamente la perforazione e intervenire con una sutura. Il mancato riconoscimento e trattamento immediato avrebbe causato lo shock settico e l’insufficienza multiorgano che portarono alla morte della paziente.
Dopo la colecistectomia, la situazione di Daniela Anna Gabiati si aggravò rapidamente. I sintomi peggiorarono, causando preoccupazione tra il personale medico. L’intervento chirurgico era stato eseguito con tecniche laparoscopiche, meno invasive ma comunque non prive di rischi. Il timore era che una lesione interna non riconosciuta potesse evolvere in una grave infezione.
La decisione di trasferirla al Sant’Eugenio arrivò per permettere un monitoraggio più approfondito e una possibile gestione delle complicanze. Tuttavia, la Procura sottolineò che quel trasferimento era avvenuto troppo tardi per invertire il corso degli eventi criticamente deteriorati. Per gli inquirenti, un intervento più tempestivo avrebbe potuto salvare la donna.
Nel corso del procedimento emerse che la paziente presentava già uno stato clinico complesso, ma il collegamento tra la perforazione e l’insufficienza multi organo rimase un elemento cruciale da valutare in giudizio. La difesa contestò le accuse sottolineando l’impossibilità di accertare con certezza che gli interventi mancati fossero la causa diretta della morte.
Ieri il giudice La Rosa ha pronunciato la sentenza dopo anni di processo. Tutti gli imputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Questa formula legale indica che la corte non ha riscontrato elementi sufficienti per attribuire la responsabilità penale ai medici coinvolti.
Il pubblico ministero aveva chiesto per loro la condanna a un anno e sei mesi di reclusione, con l’accusa di omicidio colposo. La decisione del giudice accoglie invece le argomentazioni della difesa che ha evidenziato le molteplici variabili nella gestione clinica di un caso complesso come questo.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni, una prassi che permetterà di conoscere nel dettaglio le valutazioni del tribunale e le ragioni specifiche che hanno portato all’assoluzione. La conclusione del processo chiude una vicenda seguita con attenzione in ambito medico e legale, soprattutto per le implicazioni sulla responsabilità dei medici nelle complicanze post operatorie.
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