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Il messaggio “li abbattiamo come vitelli” non è stato scritto da agenti di santa maria capua vetere ma da un poliziotto di san vittore

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Il processo sulle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 continua a rivelare dettagli decisivi. Nel corso di un’udienza recente del maxi-processo, è emerso che la frase violenta “li abbattiamo come vitelli”, rinvenuta in una chat di gruppo tra agenti penitenziari, non sia stata scritta da chi era in servizio a Santa Maria Capua Vetere. Al contrario, quel messaggio è stato inviato da un poliziotto della casa circondariale milanese di San Vittore, che non ha partecipato ai fatti di Caserta. Le nuove informazioni emergono dall’esame di un teste chiave, un ufficiale dell’Arma coinvolto nelle indagini, e si inseriscono nel quadro istruttorio coordinato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere.

Il ruolo delle chat nelle indagini sui pestaggi al carcere di santa maria capua vetere

L’intenzione di punire i detenuti, secondo l’accusa, era già presente tra gli agenti prima delle violenze. Il messaggio “li abbattiamo come vitelli”, risalente alla sera del 5 aprile 2020, è finito al centro delle attenzioni degli inquirenti proprio per questo motivo. È stato trovato in una chat di gruppo con 38 partecipanti, tra i quali figurava un solo uomo in servizio a Santa Maria Capua Vetere, l’agente Leonardi, imputato nel processo. Ma le indagini condotte dall’Arma hanno chiarito che quel testo non era stato scritto da nessuno degli agenti penitenziari presenti nel carcere casertano al momento della perquisizione.

L’importanza delle chat di gruppo nelle indagini

A chiamare in causa quella conversazione sono state le attività di polizia giudiziaria basate sulle chat telefoniche sequestrate agli imputati. Il messaggio, utilizzato dalla Procura nei capi di imputazione, dimostrava che già prima dell’azione delittiva ci fosse una volontà comune tra gli agenti di usare violenza sui detenuti. Ma la recente ricostruzione ha spostato l’origine di quel messaggio fuori da Santa Maria Capua Vetere, da un poliziotto in servizio a San Vittore, che non era tra i presenti al carcere casertano durante i fatti.

La testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria felice izzo e le questioni sollevate dagli avvocati

L’udienza si è concentrata sull’esame di Felice Izzo, ufficiale dell’Arma che ha coordinato le indagini su delega della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Durante il confronto con i difensori degli imputati, sono emerse domande che hanno messo a fuoco la provenienza e la paternità del messaggio incriminato.

Gli avvocati difensori Carlo De Stavola, Edoardo Razzino e Roberto Barbato hanno sottolineato come il messaggio fosse contenuto nel cellulare di Leonardi, uno degli agenti in servizio a Santa Maria Capua Vetere. Tuttavia, è stato chiarito che a digitare quella frase fosse un altro agente che lavora nel carcere di San Vittore. Non si tratta dunque di una comunicazione interna ai soli agenti casertani, ma di una chat collettiva con partecipanti provenienti da più istituti penitenziari, un elemento che riapre alcune questioni sulla gestione delle indagini e sulla valutazione dei messaggi nel contesto del processo.

Chiarimenti di felice izzo sulle chat e le indagini

Il testimone Izzo ha spiegato come le chat fossero al centro degli accertamenti, utilizzate per ricostruire dinamiche e intenzioni prima dei fatti violenti. L’esclusione di San Vittore dalla scena dei pestaggi è una conferma importante per l’analisi della responsabilità individuale e collettiva nel maxi-processo, che riguarda oltre un centinaio di imputati tra agenti, funzionari del Dap e medici dell’Asl di Caserta.

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Contesto del maxi-processo e le implicazioni delle nuove rivelazioni

Il maxi-processo in corso nell’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere conta 105 imputati, tra cui agenti penitenziari, funzionari e personale medico. Le accuse riguardano le violenze avvenute nel 2020 durante una perquisizione straordinaria degenerata in pestaggi contro i detenuti.

L’emergere di questo dettaglio sul messaggio scritto da un agente lontano dal carcere casertano aiuta a chiarire particolari chiave del procedimento. La lettura corretta delle comunicazioni in chat influisce sulla ricostruzione dei fatti e sulla divisione delle responsabilità. Va considerato che la frase, pur essendo usata come prova da parte della Procura, ora appare distaccata dall’ambiente operante direttamente a Santa Maria Capua Vetere.

Questi sviluppi condizionano le strategie difensive e contribuiscono a definire i confini tra partecipazione diretta e coinvolgimento indiretto negli eventi del 6 aprile 2020. Nei prossimi passaggi processuali sarà cruciale mantenere la distinzione tra chi ha agito materialmente nei pestaggi e chi, pur facendo parte delle chat, non era presente sul luogo dei fatti.

L’udienza esaminata conferma quanto sia complessa la rete di comunicazioni tra agenti penitenziari e quanto sia necessario esaminare ogni elemento con precisione, per evitare fraintendimenti e attribuzioni errate in un processo che pesa su numerosi profili penali e moralmente delicati della gestione carceraria.

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