Il Metropolitan Museum di New York ha scelto l’artista Jeffrey Gibson per un’importante commissione artistica sulle nicchie della sua prestigiosa facciata su Fifth Avenue. Gibson, artista indigeno e membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, creerà un ciclo di sculture che intrecciano tematiche ambientali e culturali profonde, proseguendo il dialogo iniziato da artisti come Kent Monkman. L’intervento sarà visibile a partire dal 12 settembre fino a giugno 2026, attirando l’attenzione del pubblico sulle connessioni tra umani, animali e paesaggi.
Jeffrey Gibson realizzerà un ciclo di quattro sculture figurative intitolato The Animal That Therefore I Am, titolo che si riferisce al filosofo francese Jacques Derrida. Le opere saranno collocate nelle nicchie della storica facciata Beaux Arts del museo a Fifth Avenue. Questi lavori vogliono ricordare ai visitatori come tutti gli esseri viventi siano interconnessi con l’ambiente. È un tema centrale nell’arte di Gibson, che da sempre esplora i legami tra mondo naturale e realtà indigene.
La commissione si inserisce in una tradizione che il Met ha avviato nel 2019, quando la prima tranche di sculture contemporanee ha visto protagoniste le “cariatidi africane” realizzate dall’artista afroamericana-kenyota Wangechi Mutu. Questi progetti testimoniano la volontà del museo di promuovere artisti che danno voce a culture differenti in spazi di grande visibilità pubblica.
Jeffrey Gibson è un artista Bipoc, un acronimo che riunisce persone nere, indigene e di colore. È membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, una tribù riconosciuta a livello federale negli Stati Uniti, e ha antenati cherokee. Nato nel 1972 a Colorado Springs, ha vissuto fra Stati Uniti, Germania e Corea, esperienze che hanno contribuito a definire la sua pratica artistica multiforme.
Le sue sculture si caratterizzano per l’uso di materiali insoliti, abbinati a un mix di astrazione, pattern decorativi, simboli e testi. Attraverso questo linguaggio visivo sintetizza una visione indigena in cui animale, umano e paesaggio non esistono come entità separate ma come elementi intrecciati in un destino comune. Max Hollein, direttore del Met, ha definito Gibson una figura chiave nell’arte indigena contemporanea per la sua capacità di portare avanti una riflessione profonda in forma artistica.
Negli ultimi anni, il Met ha rafforzato la presenza di artisti indigeni nei suoi spazi, con una particolare attenzione a progetti che mettono in discussione la storia ufficiale dell’arte occidentale. Nel 2019, sotto la prima presidenza Trump, Kent Monkman, artista canadese della tribù Cree, ha introdotto nell’atrio due grandi tele con cui ha riscritto in modo critico la narrazione coloniale, usando la stessa iconografia dei colonizzatori bianchi per sovvertirla.
Il progetto di Gibson si inserisce in questa linea di dialogo e critica. Arriva in un momento in cui la politica americana ha rilanciato una linea nazionalista nell’arte pubblica, come dimostra il recente bando per il Padiglione Usa alla Biennale di Venezia che chiede proposte in linea con “eccezionalismo e innovazione americana”. Non a caso, Gibson è stato già il primo artista nativo protagonista di quel padiglione nel 2024, portando una nuova prospettiva a livello internazionale.
Le sculture sulla facciata del Met non saranno solo opere d’arte da ammirare, ma segnaleranno anche un ritorno a questioni urgenti legate a identità, storia e ambienti, richiamando l’attenzione di turisti e cittadini nel cuore di Manhattan.
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