La raccolta differenziata rappresenta, in molte aree del Lazio, un’azione che dovrebbe indicare un passo verso una gestione più responsabile dei rifiuti. I numeri ufficiali mostrano incrementi e percentuali da record, ma dietro a quei dati si nasconde una questione meno evidente: una grande parte dei materiali differenziati risulta contaminata, compromettendo l’effettiva riciclabilità. La situazione va analizzata con attenzione per capire come funzionano davvero i processi e quali rischi comportano per la gestione ambientale ed economica della regione.
Impurità nelle frazioni differenziate: un dato che pesa nel lazio
I dati raccolti nei centri di raccolta laziali indicano tassi molto alti di impurità nelle diverse frazioni di materiale differenziato. La plastica, ad esempio, presenta un valore medio di impurità che si aggira intorno al 60%. Questo significa che più della metà della plastica ritirata contiene residui alimentari o elementi non riciclabili, generando problemi durante il trattamento e lo smaltimento. Nemmeno la carta e il cartone ne escono indenni, con circa il 40% di materiali contaminati di umido o pieghe plastificate, che ne riducono la qualità.
Organico e multimateriale: problemi evidenti
L’organico, la frazione che dovrebbe essere più “pura” e semplice da trattare, invece viene compromesso in metà dei casi. Tra i contaminanti principali ci sono sacchetti di plastica e materiali non biodegradabili, che impediscono il corretto compostaggio. Il multimateriale raggiunge punte addirittura del 70% di impurità; solo il vetro si mantiene più pulito, con un 20% di contaminanti come ceramiche o metalli, ma comunque lontano dall’ideale.
In sintesi, tra il 60 e il 70% dei materiali raccolti come differenziati in provincia di Roma e nelle altre aree laziali, non riesce a entrare nelle filiere di riciclo vere e proprie. Questa contaminazione tradotta in quantità significa che gran parte del carico finisce nei rifiuti indifferenziati, con costi e danni ambientali evidenti.
Chi gestisce e controlla la raccolta differenziata: un sistema a metà
Nei comuni del Lazio la gestione della raccolta differenziata passa per appalti a società private, incaricate del ritiro e del primo smistamento. L’ente pubblico affida quindi il servizio, ma il monitoraggio della qualità avviene solo in modo sporadico e a campione, senza controlli costanti sul campo. Il formulario di identificazione dei rifiuti certifica solo la tipologia dei materiali caricati, senza verificare se dentro ogni sacco ci sia realmente la frazione dichiarata.
Questa mancanza di controllo crea un problema: quando i carichi arrivano agli impianti di trattamento, spesso fuori regione perché nel Lazio gli impianti efficienti sono pochi, non è raro che vengano respinti o trattati come indifferenziati. Le conseguenze si riflettono sui costi di smaltimento, più alti e a carico della collettività.
Il sistema premia la quantità e non la qualità. Più rifiuti vengono catalogati come differenziati, maggiori sono i fondi e i riconoscimenti per i comuni. In realtà, la bassa qualità del materiale comporta spese doppie per trasporto e smaltimento, sommando un danno economico e ambientale.
Ruolo delle società private e comuni
Le società aggiudicatarie degli appalti presentano dati di performance spesso sovrastimati per mantenere i contratti, mentre i comuni inseguono risultati legati più ai volumi consegnati che ai criteri qualitativi. Ne deriva un sistema inefficiente e poco trasparente.
Sistema rentri e ruolo degli enti di controllo: tra limiti e mancanze
Il Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti avrebbe dovuto migliorare la trasparenza, fornendo dati precisi su ogni fase della raccolta. In realtà il sistema è ancora in piena fase di avvio e non garantisce un monitoraggio dettagliato e quotidiano della situazione nei centri raccolta.
L’ARPA, che monitora la qualità dell’aria e ambientale, non dispone di sufficienti risorse per eseguire controlli diffusi e regolari sui rifiuti. L’ISPRA pubblica dati annuali sulla raccolta e lo smaltimento ma senza fornire una fotografia aggiornata e puntuale degli impianti locali.
Le società aggiudicatarie tendono a dichiarare dati di performance ottimistici per mantenere i contratti. I comuni, dal canto loro, inseguono risultati legati più ai volumi consegnati che ai criteri qualitativi. Si crea così un circuito in cui la differenziata resta spesso un fenomeno adottato “sulla carta” senza reali vantaggi nella pratica.
La sfida per la vera differenziata: formazione, impianti e controlli
Da questa situazione emerge la necessità di rivedere le basi della raccolta differenziata nel Lazio. Non basta un sistema di contenitori colorati o campagne di comunicazione se non si investe nella formazione efficace dei cittadini, che devono comprendere cosa può e non può essere conferito.
Serve anche sviluppare e migliorare gli impianti di trattamento locali, riducendo la dipendenza da strutture fuori regione e garantendo una gestione più veloce e selettiva delle frazioni conferite.
Ma soprattutto, occorrono controlli sistematici e certi sulla qualità dei materiali raccolti, usando strumenti di verifica sul campo non occasionali. Senza questo, qualsiasi progetto di raccolta rischia di essere viziato da dati sovrastimati e inutilizzabili.
Il Lazio si trova davanti a una prova cruciale: confermare l’impegno verso un reale riciclo o mantenere una raccolta che funziona solo nei documenti. Nel frattempo, i cittadini separano i rifiuti convinti di aiutare l’ambiente, mentre il sistema fatica a garantire che quei materiali siano trattati e reimmessi in circolo come previsto.