Tra le tante forme di racconto che catturano oggi il pubblico, Laurie Anderson propone un viaggio intenso dentro la realtà attuale degli Stati Uniti. La musicista e performer di Chicago ha portato a Roma uno spettacolo che mescola parole, musica e immagini, riflettendo sulla politica, la società e il valore dell’arte nelle nostre vite. Al centro della scena, un’interrogazione sull’identità di un paese che sembra aver smarrito la sua rotta, offerta al pubblico nel verde dell’Accademia Tedesca e poi di nuovo all’Auditorium Parco della Musica.
Il 2025 ha visto Laurie Anderson tornare in Italia con “Republic of Love”, presentato per la prima volta nell’aria aperta del parco dell’Accademia Tedesca, a Roma. La performance ha combinato il violino elettrico, tastiere e basi sonore in un tessuto sonoro che ha accompagnato per più di due ore una narrazione scandita dalla voce dell’artista, che ha raccontato storie personali e riflessioni collettive. I suoni e le parole si sono mescolate sullo sfondo di una città rappresentata come uno spazio livido e sospeso, attraversato da una nevicata di lettere dell’alfabeto che sembrano volare e poi posarsi, suggerendo la fragilità del linguaggio stesso.
Questa prima italiana non è stata un semplice concerto ma un evento multidisciplinare inserito nel festival ‘Sempre più fuori’, dove teatro, musica, danza, cinema e arti visive interagiscono con il pubblico. La relazione diretta con lo spettatore emerge da ogni nota e parola. Anderson, 78 anni e icona della sperimentazione artistica di New York, ha mantenuto alta la tensione emotiva, alternando momenti di riflessione a sequenze cariche di energia creativa. Ogni gesto e ogni suono hanno contribuito a tessere una mappa emotiva in cui la realtà americana si riflette con la complessità di un mosaico sempre in divenire.
Al centro del racconto è la riflessione sulla situazione attuale degli Stati Uniti, un paese scosso da divisioni politiche e cambiamenti confusi. Anderson ha denunciato la cancellazione di intere parole dai documenti ufficiali imposta dal governo, soprattutto termini che riguardano la nazionalità, il genere, l’ambiente e le politiche sociali. Questa rimozione progressiva delle parole, ha spiegato, implica l’impossibilità di definire e quindi riconoscere certe realtà, portando alla loro scomparsa dai discorsi pubblici.
Il riferimento ai continui cambiamenti legislativi, che modificano regole e norme ad ogni quarto d’ora, offre un quadro di instabilità che frena qualsiasi progetto di lungo termine. L’artista paragona così la leadership contemporanea a una forma di “fascismo della fine dei tempi”, lontana da quella più strutturata ideologicamente degli anni Trenta. In questo panorama, la verità perde la sua forza, ma la fame di scoprirla resta viva, come ricorda la citazione che introduce il suo discorso.
Il tema del linguaggio assume un peso centrale: la parola non è solo strumento di comunicazione, ma elemento costruttivo dell’identità e dell’azione politica. Anderson ricorda questo legame narrando un episodio giovanile, quando cercò di entrare nel consiglio studentesco e ricevette un incoraggiamento da John Kennedy, figura che tornava spesso nel suo racconto. La sua evocazione di frasi pronunciate da Kennedy nel 1963, poco prima della morte, fa da contrappunto alla dura realtà attuale, suggerendo un confronto tra un’America di speranza e quella di oggi.
Nonostante le tensioni e le difficoltà, la performance scivola verso la speranza, individuando nell’arte un luogo di incontro e rinascita. Laurie Anderson invita a riconoscere le città come spazi in cui la creatività può avvicinare persone diverse e generare nuovi legami. Il riferimento al marito Lou Reed, scomparso nel 2013, appare come un richiamo personale, che lascia spazio alla dimensione umana dietro la figura pubblica.
La musica e la parola si intrecciano con il richiamo al poeta Allen Ginsberg e alla sua poesia Song, dove “il peso del mondo è amore”. Questo verso sottolinea la necessità di un amore disinteressato che si dà senza aspettare nulla in cambio, un messaggio che riempie di senso anche i momenti più difficili. L’esperienza si chiude con un gesto inaspettato: Anderson guida il pubblico nell’esecuzione di movimenti di Tai Chi, arte marziale cinese che unisce corpo e spirito, stemperando la tensione dello spettacolo in un momento di condivisione e leggerezza.
Il pubblico, coinvolto in questa pausa di armonia, accoglie con un lungo applauso un viaggio che non si limita a raccontare, ma coinvolge l’ascoltatore in una riflessione profonda. La performance si colloca così come uno dei momenti più intensi del Romaeuropa Festival 2025, portando al centro della scena la relazione tra arte e società, realtà e speranza.
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