Tra rapine, colpi di pistola e ritardi giudiziari, questa vicenda si protrae da un quarto di secolo senza una conclusione definitiva. Il caso riguarda furti avvenuti nel settembre del 1999 e coinvolge diversi imputati accusati di diversi episodi criminali tra le province di Latina e i Monti Lepini.
Nel 1999 il panorama sociale e tecnologico era molto diverso dall’oggi. Carlo Azeglio Ciampi era presidente della repubblica, mentre il cinema proponeva film come “Il miglio verde”. Whatsapp non esisteva e la nazionale italiana aveva un giovane portiere, Donnarumma, che all’epoca aveva appena sei mesi.
Nel capo d’imputazione, scritto con un computer vecchio sistema Windows 97, i valori economici sono espressi in lire, la moneta italiana prima dell’euro, a testimonianza di un’epoca ormai remota. Il bottino complessivo di alcune rapine ammonta a circa 45 milioni di lire, divisi tra due colpi principali: 30 milioni nel centro commerciale Emiliani a Sezze Scalo e 15 milioni in contanti e assegni in un distributore a Latina.
I furti contestati sono avvenuti tra il 7 e il 22 settembre 1999. Nel dettaglio, la rapina al centro commerciale Emiliani di Sezze Scalo si è distinta per un episodio violento. I responsabili avrebbero sparato un colpo di pistola che ha colpito la scrivania di un ufficio e due persone coinvolte sono rimaste ferite. In un altro episodio avvenuto in un distributore a Latina, il colpo ha fruttato 15 milioni tra contanti e assegni.
Un terzo episodio sempre in un distributore era invece fallito a causa dell’energica reazione della vittima. Questi dettagli sono emersi dagli atti dell’inchiesta, che negli anni ha raccolto testimonianze e prove ma è stata rallentata da diversi intoppi giudiziari.
Le indagini erano state condotte dai Carabinieri del comando provinciale di Latina subito dopo le rapine. Il gip di Latina aveva disposto misure restrittive nei confronti di alcuni sospettati poco dopo gli eventi.
Nonostante ciò, il decreto che ha disposto il giudizio è arrivato solo il 12 gennaio 2004, segnando l’inizio di un lungo e faticoso processo. Tra cambi di collegio penale, difetti di notifica e numerosi rinvii, ci sono voluti ben undici anni per arrivare a una sentenza di primo grado emessa il 16 luglio 2015 dal tribunale di Latina.
In quella sentenza, alcune condanne sono state ridotte a pene dai 12 mesi ai 4 anni e mezzo, mentre per altri imputati si è decisa l’assoluzione. Inoltre, il vincolo associativo originariamente ipotizzato è caduto nel corso del procedimento. Alcuni reati erano già stati dichiarati prescritti prima di quella prima sentenza.
Dopo la prima sentenza il collegio difensivo ha impugnato le condanne di sei imputati, mentre quattro erano stati assolti. Il ricorso aveva rallentato ulteriormente l’iter giudiziario, tanto che per molti anni non si erano avute novità.
Recentemente, dopo il deposito delle motivazioni, la corte d’appello ha fissato una nuova udienza per il 13 ottobre 2025 presso la terza sezione penale della corte d’appello di Roma. Questo procedimento rischia di diventare uno dei più lunghi della giustizia italiana, superando i ventisei anni e un mese dalla data dei fatti, ossia settembre 1999.
Questa vicenda mette in evidenza i limiti del sistema giudiziario italiano rispetto ai processi penali lunghi. Nel corso di più di due decenni, i tempi si sono dilatati a causa di ostacoli procedurali, cambi dei giudici e errori nelle notifiche.
Il prolungarsi dei processi comporta un problema per tutti: per le vittime, le parti coinvolte e anche per la certezza del diritto. Lo sviluppo della tecnologia e la modernizzazione della magistratura non sono servite ad accelerare le sentenze in questo caso.
A questo punto, la corte d’appello di Roma avrà il compito di dirimere una vicenda che ha visto alternarsi diverse fasi e lunghe attese, contribuendo a tracciare uno dei processi penali più lunghi nella storia recente del nostro paese.
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