L’ondata di caldo prevista questa settimana nel Lazio sta raggiungendo temperature anche sopra i 40 gradi in molte province, tra cui Frosinone, Latina, Rieti e Roma. Queste città sono già a livello 2 di allerta caldo, una situazione che richiede misure urgenti per proteggere la popolazione più vulnerabile. Nonostante questo scenario, la regione Lazio non ha ancora messo a punto un piano di emergenza per il 2025 specifico contro le ondate di calore, rivolto in particolare agli anziani, ai malati cronici, ai bambini e a chi si trova in condizioni di fragilità. In questo clima di allerta, emerge una grave mancanza che potrebbe esporre migliaia di persone a rischi seri.
Livelli di allerta e temperature record in diverse province del lazio
Nel dettaglio, la regione Lazio si trova ad affrontare una situazione di caldo intenso con la maggior parte delle province già segnalate a livello 2, il secondo livello più alto di allerta per calore. Frosinone e Latina, ad esempio, registrano temperature che sfiorano i 40 gradi centigradi già da alcuni giorni. Roma, oltre al caldo, si è vista costretta a mettere in campo il Piano caldo comunale, attivato dalla Protezione Civile di capitolino per potenziare assistenza e vigilanza sulle categorie più fragili. Il bollettino meteo indica una concentrazione di afa e calura che rischia di mettere in difficoltà chi ha patologie pregresse e chi vive solo, soprattutto anziani e bambini. Queste condizioni richiedono una risposta immediata da parte delle istituzioni per garantire monitoraggio e supporto.
Mancanza di un piano regionale a fronte di un rischio concreto
A denunciare l’assenza di un piano operativo per il 2025 è il consigliere regionale di Azione Alessio d’Amato, che sottolinea come non sia stata attivata alcuna iniziativa concreta per contenere gli effetti di questa ondata di caldo. Secondo d’Amato, la regione non ha ancora raggiunto un accordo con i medici di medicina generale per definire un programma di sorveglianza attiva, essenziale per gli anziani che spesso restano isolati nelle proprie abitazioni. Mancano inoltre i report sull’assistenza domiciliare, utili per tenere sotto controllo la salute delle persone a rischio. Sotto questo punto di vista, le strutture sanitarie come pronto soccorso, case di cura e RSA non avrebbero nemmeno ricevuto linee guida operative per affrontare l’emergenza da calore in arrivo. La comunicazione istituzionale ai cittadini latita del tutto, lasciando molte persone senza informazioni utili.
Il ruolo del dipartimento di epidemiologia e il divario con altre regioni
Il consigliere d’Amato rimarca che la regione potrebbe contare sul dipartimento di epidemiologia, considerato uno dei punti di riferimento in Italia per la prevenzione delle ondate di calore. Questa struttura scientifica ha le competenze e i dati necessari per mettere a punto strategie efficaci e contenere i rischi per le fasce più vulnerabili. Eppure, sul piano pratico, la regione non ha ancora messo in campo un programma che preveda un monitoraggio sistematico e un’azione tempestiva. A confronto, altre regioni italiane come Veneto ed Emilia-Romagna hanno attivato da tempo i loro piani, alcuni già da settimane. Questo gap lascia in una posizione di svantaggio il Lazio, soggetto a rischi più elevati anche per l’estensione geografica e la densità di popolazione.
Mozione di interrogazione e l’appello all’attivazione tempestiva del piano caldo
Di fronte a questa situazione, il consigliere regionale ha annunciato la presentazione di un’interrogazione al presidente della regione, Francesco Rocca, per chiedere di spiegare il ritardo e le ragioni dell’assenza di un piano operativo. L’obiettivo è mettere pressione affinché la regione si muova prima che l’ondata di caldo abbia conseguenze gravi, come si è visto in passato con aumenti di mortalità legati proprio all’assenza di misure di tutela. L’interrogazione intende stimolare una presa di responsabilità immediata, ribadendo la necessità di coordinare medici, strutture socio-sanitarie e servizi di emergenza. L’avvio del piano caldo comunale a Roma rappresenta un modello operativo replicabile e un segnale che, almeno in alcune città, si riconosce la portata del problema e la necessità di un supporto concreto a chi rischia di più.