La questione degli scontri nel Comune di Latina legati all’assegnazione dei chioschi al mare torna sotto i riflettori nel processo per minacce. Le testimonianze raccolte in aula ricostruiscono un clima teso e fatto di intimidazioni, con protagonisti principali alcune famiglie storiche del posto. Gli episodi raccontati riguardano presunti tentativi di prevaricazione da parte di chi gestiva da decenni quei luoghi pubblici, a scapito dei nuovi assegnatari.
Ha aperto il quadro delle tensioni la socia della società che, con entusiasmo, aveva vinto la gara per il primo chiosco al Lido di Latina. Davanti al pm della Direzione Distrettuale Antimafia Francesco Gualtieri ha parlato delle “schermaglie” avvenute nella sala consiliare: una famiglia, i Zof, storici gestori del primo chiosco, avrebbe dichiarato con forza “Il chiosco è nostro” nonostante la nuova aggiudicazione. La testimone ha raccontato che, nonostante la vittoria e l’impegno nel partecipare al bando, non avevano potuto gioire. Le parole urlate e il tono intimidatorio avevano creato uno stato d’ansia. Quello che sembrava un semplice atto amministrativo si era trasformato in un terreno di conflitto aperto, dove la forza delle vecchie gerarchie ha cercato di prevalere sui nuovi arrivati. La donna ha ammesso di essersi sentita spaventata, tanto da non volersi trasformare nella “Giovanna d’Arco di Latina”, consapevole però di trovarsi in mezzo a un clima difficile e ostile.
Un altro elemento importante arriva dal gestore del quarto chiosco: ha ricordato una visita inaspettata di Alessandro Zof e del fratello nella sua struttura. Non essendo presente, ha riferito quanto raccontato da un dipendente: i due, noti per aver guidato il primo chiosco per anni, avrebbero cercato degli amari ma poi avrebbero fatto un gesto brusco, gettando a terra dei bicchieri di plastica. Il gestore ha sottolineato di non aver mai subito minacce dirette, ma di aver vissuto quell’episodio come un segnale inquietante, un vero e proprio turbamento. Lo stesso uomo è stato interrogato sul suo legame con Marco Antolini, coinvolto nell’inchiesta Assedio della Dda di Aprilia. Da quanto emerso, Antolini era un cliente del chiosco, ma non aveva mai sollecitato interventi. Conosceva la situazione solo di riflesso, avendo appreso i fatti casualmente.
Il processo ha avuto anche il contributo tecnico del commercialista che seguiva la società aggiudicataria del primo chiosco. La sua testimonianza ha messo in luce una situazione carica di tensioni verbali: insulti volanti tra le parti, ma nessun supporto da parte della macchina comunale per risolvere le dispute. Secondo il professionista, la palla era nelle mani del sindaco, chiamato a mediare e trovare un accordo. Quando il pm ha portato alla luce una sua precedente dichiarazione in cui parlava di un “contesto mafioso”, il commercialista ha negato di aver mai usato quel termine, puntualizzando che non fa parte del suo linguaggio abituale. Questo dettaglio rivela come le divergenze siano state raccontate con sfumature diverse dai protagonisti.
L’ultima testimonianza chiave è stata quella dell’imprenditore che si era aggiudicato il primo chiosco insieme alla socia già sentita. Ha chiarito con fermezza di non aver mai ricevuto minacce vere e proprie. Ha negato le voci secondo cui Alessandro Zof gli avrebbe promesso l’invio di una banda di romeni per danneggiare la sua attività, smentendo così accuse di intimidazioni violente. Questa deposizione contrasta con la percezione di tensione registrata nelle altre dichiarazioni, offrendo un punto di vista più disteso. Nonostante ciò, nel racconto complessivo emerge una convivenza problematica tra vecchi gestori e nuovi aggiudicatari degli spazi verso il mare di Latina, con una trama di rapporti segnati dal sospetto e dalla diffidenza.
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