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Un cavallo che vola sul sulcis iglesiente e la memoria delle miniere tra bosano e villaggio normann

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Il Sulcis Iglesiente conserva storie profonde, legate alla vita dura delle miniere e agli insediamenti che le circondano. Tra paesaggi segnati dall’uomo e natura che riprende il suo posto, la memoria degli antichi abitanti si riflette in piccoli dettagli, dai volti scolpiti nel legno alle tracce di comunità millenarie. Tra questi luoghi, il villaggio normann e la statua di bosano raccontano una vicenda unica di fatica e rispetto verso gli animali coinvolti nel lavoro sotterraneo, mentre poco lontano si conservano testimonianze di culture antiche, tonnare e il mistero dei nuraghi.

Il villaggio normann: un angolo di storia mineraria tra cultura e natura

Il villaggio normann si trova a gonnesa, nell’area del sulcis iglesiente, nascosto tra pini e lecci. Oggi ospita circa quaranta persone, ma un tempo rappresentava il cuore dei tecnici della miniera di san giovanni. Questo insediamento, costruito per garantire condizioni di vita più comode ai responsabili, aveva un cinema all’aperto — di cui resta una piccola struttura con feritoie per il proiettore — un campo da tennis e un bocciodromo. Questi elementi raccontano un tempo in cui anche in zone di lavoro pesante si cercava un po’ di svago.

Lo spiazzo in cima al villaggio, che un tempo conduceva a un sentiero verso un’altra miniera, era diventato con gli anni una discarica a cielo aperto. Negli ultimi tempi, l’associazione villaggio normann ha provveduto a recuperare questo spazio. Oggi, proprio da qui, è possibile osservare un panorama libero da inquinamento luminoso, ideale per osservare il cielo stellato. Questo luogo è diventato teatro di eventi culturali organizzati dai residenti, segno di un tentativo di ridare valore e visibilità a un’area trascurata ma ricca di memoria.

Bosano, il cavallo che volava e sapeva contare

Sopra il belvedere del villaggio normann si erge una statua che rappresenta bosano, un cavallo che fu protagonista delle miniere locali. Non è solo un ricordo, ma un simbolo della realtà vissuta dagli animali calati nel sottosuolo. Questi animali, affidati al lavoro duro e all’oscurità delle gallerie, spesso diventavano ciechi e morivano una volta tornati in superficie. Molti venivano uccisi prima, per evitare sofferenze prolungate.

Bosano, tuttavia, era diverso: si diceva che sapesse contare i vagoni da trainare, fermandosi quando il numero superava sette. I minatori impararono a ingannarlo evitando il suono dei ganci metallici per caricare di più, ma la sua caratteristica rimase impressa nei racconti locali. Raramente, in questo ambiente, la vecchiaia e la morte naturale erano concesse. Bosano invece venne seppellito proprio nel luogo ora diventato belvedere, a confermare il legame affettivo e il rispetto verso questo animale “speciale”.

La statua è realizzata con legno proveniente dal mare, modellato per ricordare il muso di un cavallo un po’ storto e un cappello simile a quello di pinocchio, fatto con una tubatura usata per proteggere bosano dai soffitti bassi. Dietro a lui sette tronchi rappresentano i suoi vagoni, e fungono da sedute per chi visita il luogo.

Il rapporto con la fatica: minatori, tonnarotti e le tracce di un mondo duro

Pierluigi Carta, ex sindaco di iglesias e abitante della zona, sintetizza con una frase il rapporto tra chi lavorava in miniera e la realtà della pietra: “I minatori nella galena vedevano la pietra. I tecnici il tesoro”. Questo doppio sguardo riflette il contrasto fra le difficoltà quotidiane e la valorizzazione del territorio.

Scendendo verso il mare si trova un altro luogo carico di storie: l’insediamento dei tonnarotti a porto paglia, dove la pesca del tonno veniva gestita da un raìs dalla barca con fondo di vetro. La pesca, vasta e dura come il lavoro minerario, coinvolgeva molte famiglie e rappresentava una fonte di sostentamento importante ancora oggi, come accade a carloforte. Porto paglia offre un panorama tranquillo, quasi esclusivo, nonostante un tempo accogliesse oltre duecento lavoratori.

Nel piccolo borgo si trovava anche una cisterna sotterranea per la raccolta dell’acqua piovana e il monopolio di formaggi e tabacchi era gestito dai frati. Alle spalle, le montagne mostrano ancora le tracce delle miniere, visibili solo a chi conosce bene il territorio; lungo i sentieri invece si incrociano essenze locali come l’elicriso e piante invasive come il fico degli ottentotti, segno di un ambiente in lotta tra natura e alterazioni umane.

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I nuraghi di seruci, tra scavi e misteri di una civiltà antica

A pochi chilometri di distanza, proseguendo l’esplorazione verso l’entroterra, si arriva al complesso nuragico di seruci, che copre un’area con oltre duecento capanne risalenti tra il XIV e il X secolo avanti Cristo. Questo sito offre una testimonianza di un passato molto distante, anche se ancora parziale e in costruzione a causa di scavi in corso e i danni subiti da saccheggi e guerre del Novecento.

Durante i conflitti mondiali, la zona fu adibita a postazione antiaerea, coprendo e modificando l’aspetto originario dell’area. Nonostante questo, rimangono elementi che svelano la struttura complessa della comunità nuragica: ci sono ad esempio stanze per le riunioni tra capi, spazi per bagni con vasche riscaldate da caminetti e un nuraghe centrale con torre decentrata, circondato da alberi piegati dal maestrale.

Alcuni angoli del sito ospitano antiche leggende sarde come quella di maria farranca, un’entità mitica che si dice rapisca i bambini nei pressi del pozzo del nuraghe. Questi racconti intrecciano miti e storia, aggiungendo un’aura di mistero al già affascinante patrimonio archeologico.

Il monte arci e il valore dell’ossidiana: una terra da tutelare

Il viaggio si sposta ancora verso monte arci e il municipio di pau, incastonati in un paesaggio segnato dal giallo paglierino dell’erba secca e da greggi sparse alla ricerca di ombra. Qui la densità di popolazione rimane bassa e i ritmi sembrano lenti, quasi sospesi.

Il museo dell’ossidiana di pau è uno dei pochi al mondo dedicati a questa pietra nera, usata dagli antichi abitanti della sardegna molto prima dell’epoca nuragica. Le guide del museo ricordano che l’ossidiana non va confusa con “oro nero”: è una pietra dalla superficie unica, sulla quale ogni colpo lascia una traccia indelebile come un’impronta digitale.

Questo permette di riconoscere l’uso di ogni frammento e di ricostruire tecniche artigiane antiche. Salendo lungo i sentieri di monte arci si incontrano i resti di officine preistoriche, considerati veri tesori archeologici. La raccolta di questi pezzi è vietata per legge, a tutela del patrimonio terrestre e culturale della sardegna, che continua a rivelare dettagli importanti sulle vite delle popolazioni passate.

Il minatore, come ricordano ancora a villaggio normann, vede solo la pietra, ma dietro quella pietra c’è molto di più: una storia fatta di fatica, leggende e memorie antiche.

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