Un caso di presunta violenza sessuale su una bambina di 9 anni a Minturno resta oggi senza un colpevole. Dopo un lungo processo durato quasi un decennio, il tribunale ha assolto un uomo di 30 anni dall’accusa più grave. La sentenza, pronunciata nel 2025 a Cassino, sottolinea l’impossibilità di stabilire con certezza chi abbia commesso il fatto e riporta alla luce una storia segnata da povertà e fragilità sociale.
Il contesto sociale e psicologico della vicenda
Le carte del tribunale raccontano una situazione familiare e sociale difficile, che ha influito profondamente sugli sviluppi del caso. La vittima, oggi ventunenne, e la sua famiglia vivevano in condizioni di estrema povertà. La madre, con un livello di istruzione molto basso e segnata da molte difficoltà personali, ha fornito in aula dichiarazioni contraddittorie e confuse.
Questi elementi hanno reso complicata l’attività degli inquirenti. L’ambiente sociale degradato, le fragilità della testimonianza e l’assenza di certezze hanno compromesso la ricerca della verità. L’unico testimone estraneo alla famiglia, un amico d’infanzia della ragazza, potrebbe aver subito pressioni esterne che hanno influenzato il suo racconto, aumentando gli elementi di incertezza.
L’impossibilità di individuare un colpevole
Nonostante l’indagine e il processo, la verità processuale si è rivelata sfuggente. L’identità dell’autore della violenza, qualora questa sia avvenuta, resta ignota. Il tribunale ha osservato che la confusione nelle testimonianze e la mancanza di elementi oggettivi ha impedito di avanzare un’accusa solida.
La sentenza sottolinea che questa incertezza impone la assoluzione, in mancanza di prove concrete e certe. Questo caso, che si svolge in un contesto di fragilità e dolore, mostra come il sistema giudiziario debba attenersi a criteri stringenti quando pesa troppo il dubbio. Restano aperti interrogativi sulle condizioni di vita e sul supporto offerto alle vittime in situazioni simili.
Il processo e il verdetto di assoluzione
Il procedimento giudiziario si è concluso con l’assoluzione piena del trentenne di Minturno difeso dagli avvocati Luca Cupolino e Raffaella Somma. L’uomo era accusato di aver costretto la bambina a subire atti sessuali tra il 2011 e il 2013. Il tribunale, tuttavia, non ha trovato prove sufficienti per condannarlo. Nelle motivazioni si legge che «qualcosa di inappropriato si è certamente verificato», ma non c’è modo di precisare di che cosa si tratti esattamente.
Questa incertezza ha pesato sul giudizio finale: senza elementi chiari, la legge impone l’assoluzione. La sentenza ha reso evidente anche la complessità di un caso dove testimonianze e prove si sono rivelate fragili, confondendo le indagini e la ricostruzione dei fatti.
Il trasferimento della vittima e la scoperta tardiva del caso
La vicenda è emersa pienamente solo dopo molti anni, quando la ragazza si è trasferita in Emilia Romagna. Qui la giovane ha parlato delle violenze subite, aprendo le porte a un’indagine che però ha fatto fatica a decollare. Il ritardo nel denunciare ha reso più complesso ricostruire i fatti e ha portato alla prescrizione di molte delle accuse.
Questo spostamento geografico ha finito per isolare ulteriormente il processo dal luogo dove si era consumata la presunta violenza, ovvero Minturno, complicando la raccolta di prove e testimonianze affidabili. Le differenze di contesto e di ambienti sociali tra la vecchia e la nuova città hanno reso ancora più difficile comprendere cosa fosse realmente accaduto.
Il procedimento del tribunale di Cassino chiude così un capitolo giudiziario complesso e oscuro. Il fatto rimane irrisolto, forse per sempre, lasciando dietro di sé una storia segnata da sofferenza e da una verità difficile da accertare.