L’olocausto rappresenta uno dei capitoli più oscuri e dolorosi della storia umana, un evento che segna per sempre la coscienza collettiva. Oggi, a ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz, quel ricordo rischia di soffocare davanti a nuove sofferenze che emergono in conflitti contemporanei. Anna Foglietta, attrice e presidente dell’associazione Every Child Is My Child, ha offerto al BCT Festival di Benevento una testimonianza che lega il passato ai drammi ancora in atto, con particolare attenzione alla condizione dei bambini in guerra.
Dal monologo su aushcwitz al richiamo alle nuove tragedie umanitarie
Durante la sua partecipazione al BCT Festival di Benevento, Anna Foglietta ha interpretato un monologo intitolato ‘Io non torno a casa’, un racconto che ripercorre le vicende di Miriam Levi, una giovane donna ebrea deportata ad Auschwitz. Il testo non si limita a ripercorrere la deportazione e la sofferenza degli internati ma pone un forte accento sul valore della testimonianza. Foglietta ha evidenziato che ‘testimoniare’ è un termine più vivo e intenso di ‘vivere’, soprattutto quando si parla di atrocità come l’olocausto. Attraverso questo racconto sono riaffiorati i dolori profondi della storia passata, ma si è aperto anche uno spazio per riflettere sulle nuove ferite che il mondo continua a infliggere a bambini e giovani.
Uno sguardo al presente e alle sofferenze invisibili
Il monologo ha dunque proposto uno sguardo che non si ferma al passato, ma guarda con preoccupazione all’oggi, dove violenze e sofferenze continuano, spesso invisibili o ignorate, nei territori del conflitto. La scelta di Foglietta di legare la memoria di Auschwitz al presente richiama la responsabilità collettiva di non dimenticare e di intervenire, qualora possibile, nei drammi che oggi sembrano ripetersi in forme diverse.
La drammatica condizione dei bambini nelle zone di conflitto oggi
Anna Foglietta, nel suo discorso, non ha evitato di descrivere la realtà cruda dei bambini coinvolti nelle guerre attuali. Ha sottolineato come ogni giorno si vedano immagini di sofferenze che mettano a dura prova persino la memoria storica, riportando a galla orrori che credevamo di aver già compreso e superato. Bambini, perfino neonati, muoiono di fame e mancano di ogni supporto essenziale. Alcuni adolescenti hanno subito amputazioni e si trovano a vivere senza riconoscere un futuro possibile. La solitudine e la disperazione sembrano sommergere questi giovani, che a volte chiedono persino di morire.
Il senso di abbandono e l’indifferenza globale
In questo scenario, uomini e donne che dovrebbero solo cercare di sopravvivere perdono tutto nel modo più violento. Il dolore si mescola con un senso di abbandono, dato che il mondo spesso resta fermo di fronte a queste tragedie. Foglietta evidenzia come questa realtà si manifesti nella totale indifferenza, e come nessuno faccia abbastanza per interrompere questa catena di sofferenze.
Solidarietà al popolo palestinese e l’appello alla coscienza globale
Nel corso della sua testimonianza, Anna Foglietta ha espresso la sua piena solidarietà al popolo palestinese, definendolo anch’esso protagonista di una pagina tragica della storia mondiale. Ha richiamato l’attenzione sulle ingiustizie vissute da chi vive in territori in conflitto e sulle condizioni estreme in cui molte famiglie, soprattutto i più giovani, si trovano ogni giorno.
L’impegno della comunità internazionale
Questo appello si inserisce in un contesto più ampio di riflessione sui drammi umanitari attuali. Foglietta non usa parole accusatorie, ma evidenzia la durezza delle situazioni e la necessità che la comunità internazionale dia risposte concrete senza lasciar cadere nella dimenticanza o nell’indifferenza le vittime civili delle guerre. Il suo intervento al BCT Festival ha messo in luce come la memoria storica debba alimentare, nel presente, un senso di responsabilità e un impegno verso la protezione di chi oggi soffre.
Il ricordo di Auschwitz, nell’esposizione di Foglietta, diventa così un monito per chi guarda alla realtà con occhi attenti, un richiamo a non lasciare che dolori simili si ripetano, specialmente tra chi non ha voce, come i bambini e i giovani delle zone di conflitto.