Nel corso della prima giornata del Giffoni Film Festival, il produttore Aurelio De Laurentiis ha offerto risposte schiette e dirette a domande sul futuro del cinema. Tra i temi affrontati, l’intelligenza artificiale, l’impatto delle piattaforme digitali e le difficoltà economiche della produzione cinematografica moderna. Un confronto che ha acceso il dibattito su quanto i nuovi strumenti tecnologici e i modelli di distribuzione stiano cambiando il modo di fare film e fruirli.
Quando un giovane giurato del festival ha domandato ad Aurelio De Laurentiis se l’intelligenza artificiale rappresenti una minaccia per il cinema, il produttore ha sorpreso con una risposta decisa. Per lui, l’intelligenza artificiale non è un pericolo ma uno strumento potente da sfruttare. Ha definito questa tecnologia qualcosa che “arrapa da morire”, esprimendo grande entusiasmo per le possibilità che apre nel campo creative e produttive.
Secondo De Laurentiis, chi teme l’intelligenza artificiale rischia di restare fuori dal gioco del cinema contemporaneo, segnalando come il settore richieda oggi maggiore apertura verso queste innovazioni. L’attenzione è sul ruolo pratico degli strumenti digitali nel migliorare la realizzazione delle opere, non tanto su paure legate a scenari distopici. Questa presa di posizione è significativa in un panorama in cui l’intelligenza artificiale viene spesso vista con sospetto da parte di molte figure dell’industria culturale.
Nel dialogo, De Laurentiis ha ricordato un episodio emblematico legato al film Dune diretto da David Lynch, definito “complicatissimo”. Il produttore ha sottolineato come oggi la stessa storia venga suddivisa in due parti dal regista Denis Villeneuve, anche perché allora il progetto di Lynch era sembrato fuori luogo sul mercato americano.
Ha citato come in America, sbagliare un grande film si traduca in perdite economiche ingenti, che arrivano a decine di milioni di dollari e, nei casi recenti, a centinaia. Nel suo discorso ha menzionato una produzione attuale costata 300 milioni di dollari, di cui nessuno può garantire un sicuro ritorno.
Questa riflessione mette in luce come l’industria cinematografica sia oggi esposta a rischi finanziari molto alti, soprattutto per film dall’enorme budget. La necessità di risultati commerciali immediati pesa sulle scelte creative e determina una forte pressione su produttori e registi.
Il discorso di De Laurentiis continua con un’analisi critica sulla supremazia di Netflix nel cambiamento del modello distributivo del cinema. Per il produttore “Netflix ha ucciso il cinema”, aggiungendo però che lo ha fatto “bene” secondo una logica di business chiara e efficace.
Il punto centrale è che Netflix e piattaforme simili non puntano a guadagnare dai singoli film, ma si concentrano sull’incremento degli abbonati che giustificano la loro crescita in borsa. Per spiegare questo meccanismo ha fornito numeri recenti: in estate, periodo in cui i giovani non frequentavano la scuola, Netflix è passato dal 7,5% di quota sul mercato all’8,5%. YouTube, pur mantenendo una quota intorno al 12%, non ha registrato crescite.
Questo dato rappresenta, secondo lui, ciò che davvero conta per i grandi player del settore. La valutazione del successo non dipende più dalla performance di un singolo titolo ma dalla capacità di attrarre e mantenere utenti sulla piattaforma.
De Laurentiis ha terminato il suo intervento esprimendo un attaccamento forte al cinema come forma d’arte che rispecchia la vita delle persone. Ha raccontato di aver realizzato una vera sala cinematografica nella sua abitazione a Los Angeles chiamando George Lucas e i tecnici migliori.
L’idea è nata da un’amara constatazione sulla qualità delle sale odierne, che “non suonano più bene” e dove, secondo lui, si è perso molto della magia e dell’esperienza autentica legata alla visione sul grande schermo.
Questa dichiarazione riflette una critica verso il declino delle sale tradizionali, a fronte della diffusione delle piattaforme digitali, e vuole ricordare l’importanza di mantenere viva la qualità tecnica e l’emozione del cinema vissuto collettivamente.
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