La recente rimozione di manifesti della Lega a Roma ha scatenato un acceso confronto tra il partito di Matteo Salvini e il Campidoglio guidato da Roberto Gualtieri. I manifesti, che promuovevano il ddl sicurezza con immagini di nomadi, extracomunitari e giovani con capelli rasta, sono stati rimossi per contenere messaggi giudicati discriminatori e contrari alle norme etiche sulle affissioni pubblicitarie. La decisione del Comune ha alimentato accuse di censura e il dibattito politico si è subito infiammato. Ecco come si è sviluppata la vicenda, quali sono le motivazioni ufficiali e quali le mosse dei protagonisti.
I contenuti dei manifesti della lega e le reazioni immediatamente successive
La campagna della Lega promuoveva il ddl sicurezza con slogan duri, come “Scippi in metro? Ora finisci in galera senza scuse” e “Blocchi una strada a chi lavora? Finisci in galera”. Le immagini associate rappresentavano principalmente nomadi, extracomunitari o giovani con capelli rasta, un chiaro messaggio di condanna verso comportamenti considerati criminali o fastidiosi per i cittadini. Questi contenuti hanno immediatamente sollevato polemiche sulle forme di rappresentazione e sulla possibile alimentazione di stereotipi.
Appena messi in mostra, i manifesti hanno incontrato opposizioni da parte del Campidoglio, che ha deciso di intervenire rimuovendoli dai cartelloni pubblicitari. A guidare la decisione è stata una lettera di diffida inviata alla ditta pubblicitaria incaricata. Il Comune ha sostenuto che i messaggi violassero norme già esistenti che vietano contenuti pubblicitari che incitano a discriminazioni etniche o presentano immagini stereotipate. Gli slogan forti e le immagini scelte sono stati considerati non solo provocatori, ma con un chiaro rischio di alimentare pregiudizi e tensioni sociali.
La posizione del comune di roma e la decisione di rimuovere i manifesti
La direzione capitolina ha giustificato la rimozione spiegando di aver agito secondo le regole vigenti in materia pubblicitaria, applicate autonomamente dagli uffici preposti. Il Campidoglio ha precisato che non si tratta di censura politica, ma piuttosto di un rispetto delle norme che vietano qualsiasi forma di discriminazione o stereotipo basato sull’origine etnica. La decisione è scaturita anche da esposti presentati da cittadini che avevano segnalato la presenza dei manifesti.
Questo intervento ha mostrato come gli uffici del Comune intendano sorvegliare il linguaggio e le immagini veicolate attraverso spazi pubblici, specialmente quando questi veicolano messaggi che possono alimentare divisioni sociali. Il Comune ha ribadito di voler garantire un ambiente più rispettoso e pacifico, evitando iniziative che possano alimentare tensioni e discriminazioni.
La reazione della lega e la denuncia di censura contro il comune
Il partito di Matteo Salvini non ha tardato a reagire definendo la rimozione una forma di “censura” e un “bavaglio comunista”. La Lega ha denunciato un atto di intolleranza e ha annunciato che la vicenda non si chiuderà con la rimozione. Il vicesegretario federale Claudio Durigon ha dichiarato che il partito intende proseguire la battaglia politica e legale per riottenere la visibilità dei manifesti, annunciando una campagna più ampia che coinvolgerà anche altre città italiane.
Il rilancio sui nuovi materiali, tra cui magliette con messaggi legati alla sicurezza, dimostra la determinazione a non arretrare e a utilizzare altri canali per veicolare il proprio messaggio. La Lega ha anche accusato il Partito democratico di difendere chi commette reati come scippi e occupazioni abusive, schierandosi apertamente contro la giunta di Roma.
Il sostegno di più europa alla rimozione e il confronto pubblico sul tema etico
In serata, Riccardo Magi, segretario di Più Europa, ha sostenuto pubblicamente la decisione del Comune parlando di un gesto necessario per fermare messaggi che alimentano stereotipi e discriminazioni. Magi ha annunciato la presentazione di una denuncia contro la Lega per l’utilizzo di immagini e frasi giudicate offensive nei confronti di categorie vulnerabili.
Il caso ha riacceso un dibattito più ampio, che coinvolge non solo la politica, ma anche la società civile. Molti cittadini e associazioni hanno espresso preoccupazione per i messaggi che rischierebbero di incrementare il rancore verso gruppi periferici. La vicenda resta un esempio significativo del contrasto tra libertà d’espressione e limiti posti per tutelare la convivenza civile e combattere discriminazioni. Il contesto di Roma, città multietnica e complessa, rende la questione particolarmente delicata e seguita da vicino.