Il processo per l’omicidio di Walter Albi e il grave ferimento di Luca Cavallito sulla strada parco di Pescara si è arricchito di una richiesta pesante da parte della pubblica accusa. Nel corso dell’udienza del Tribunale di Pescara, davanti alla Corte d’Assise di Chieti, sono stati chiesti tre ergastoli per gli imputati coinvolti nell’agguato avvenuto il primo agosto 2022. Il caso, che tiene col fiato sospeso la città, riguarda una vicenda di violenza legata a traffici di droga e rapporti pericolosi.
L’udienza si è svolta a Pescara, ma la Corte d’Assise è quella di Chieti. A chiedere la condanna all’ergastolo per i tre imputati presenti in aula sono stati il sostituto procuratore Andrea Di Giovanni e il procuratore capo Giuseppe Bellelli. I giudici sono chiamati a valutare prove e testimonianze raccolte in mesi di indagini. A finire sotto accusa sono Cosimo Nobile, individuato come esecutore materiale dell’agguato, Maurizio Longo, ritenuto l’organizzatore e riferimento logistico, e Natale Ursino, legato alla ‘Ndrangheta, considerato il mandante dell’azione e ancora ricercato.
Il collegio della pubblica accusa ha ricostruito con precisione i fatti partendo da elementi concreti: non solo l’agguato, ma anche altre attività criminali collegate garantiscono un quadro di responsabilità e moventi definiti.
L’attacco contro Albi e Cavallito è connesso a una rapina avvenuta il mese precedente, l’11 luglio 2022, presso il Centro Agroalimentare. Qui, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stata sottratta la pistola Beretta utilizzata nell’agguato di agosto. A quel furto avrebbero partecipato Nobile e Longo, già destinatari di pene per quell’episodio.
Le indagini hanno mostrato legami stretti tra gli imputati e la strumentazione usata poi nel crimine più grave. La procura ha puntato molto sul ruolo di Nobile, a suo dire non solo chi ha sparato, ma anche persona senza alibi credibile. Più volte è stata messa in discussione la sua versione sulla sera dell’1 agosto, specialmente sull’alibi legato a una cena familiare al lungomare di Pescara durante la festa di Sant’Andrea. Testimonianze discordanti e incongruenze nel racconto di vari presenti hanno indebolito la sua difesa, svelando nodi e omissioni.
Il movente del crimine emerge da un contesto di affari legati alla droga e fallimenti nell’organizzazione di una spedizione. In particolare, il coinvolgimento di Ursino e Longo si incrocia con l’acquisto di un carico di 150 kg di cocaina. Walter Albi si sarebbe offerto come skipper per trasportare la droga via mare, un carico che però non ha mai raggiunto la destinazione.
Avrebbe ricevuto un anticipo da Ursino, ma poi ha fatto marcia indietro cancellando l’operazione e lasciando sul campo una situazione complessa. Questo fallimento ha prodotto tensioni fra i coinvolti, che avevano già distribuito ruoli e ricavi. Ursino avrebbe così deciso di punire chi aveva deluso le aspettative, ordinando a Nobile di organizzare l’agguato. Il killer designato doveva essere un uomo non professionista, per non far sembrare l’azione un fatto di stampo mafioso.
Nobile accettava la missione anche per il suo debito con Ursino. Tra gli ingranaggi di quel coinvolgimento c’erano anche Luca Cavallito, ferito gravemente, e altri elementi della rete criminale legata al carico di droga non concluso.
La ferita più grossa nella difesa di Nobile è il suo alibi, smentito da testimonianze che si sono susseguite al processo. La cena al lungomare, raccontata come una presenza certa di Nobile e familiari, non trova conferme solide.
Persone chiave, come la suocera, un amico e la figlia del proprietario del locale, hanno dato versioni discordanti o hanno negato la presenza di Nobile. Questo incidente ha contribuito a delineare la figura di un uomo sul quale pesa una responsabilità diretta. Anche i riferimenti temporali presentano lacune, rendendo difficile la possibilità di ricostruire con certezza la sua posizione di quella sera.
Ursino resta a oggi irreperibile, latitante e ricercato dalla giustizia. La sua posizione nel quadro accusatorio è quella di mandante, personaggio legato alla ’Ndrangheta. Gli investigatori hanno monitorato i suoi rapporti, legati soprattutto all’affare della droga e alla gestione dei rancori nati dal mancato carico partito ma mai arrivato a destinazione.
L’episodio rivela tensioni interne a gruppi criminali che operano fuori dalla vista comune, con conseguenze che finiscono su strade pubbliche e in tragedie dolorose. Le ricerche di Ursino continuano su più fronti, in Italia e all’estero, mentre il processo avanza.
Con la richiesta di tre ergastoli la pubblica accusa ha segnato una linea netta. Ora spetta alla Corte d’Assise di Chieti valutare le prove emerse e decidere sulle responsabilità degli imputati. I numerosi elementi raccolti coinvolgono una vicenda complessa, tra droga, violenza e criminalità organizzata.
Il procedimento giudiziario proseguirà con ulteriori udienze, ma la pesantezza della richiesta mostra quanto la procura ritenga fondate le accuse. Il caso punta i riflettori su zone d’ombra di Pescara e suln legami criminali che sfociano in episodi drammatici. La giustizia sarà chiamata a dare risposte precise ai cittadini, nel rispetto delle norme e con attenzione alle prove.
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