Un’operazione condotta tra Friuli Venezia Giulia e Veneto ha portato al sequestro di 327 uccelli da richiamo di provenienza illecita e alla denuncia di 9 persone. Il blitz è stato condotto dal Nucleo Cites dei Carabinieri Forestali di Trieste insieme al Corpo Forestale regionale del Fvg, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Udine. L’indagine ha portato a smantellare una rete che faceva confluire esemplari di fauna protetta catturati illegalmente durante le migrazioni. Questi animali venivano poi modificati artificialmente per essere venduti sul mercato come richiami vivi, dando vita a un mercato sommerso con valori che superavano i 400 euro a esemplare.
L’operazione “verso nord” e il contesto migratorio degli uccelli
L’inchiesta ha preso il nome dal percorso migratorio seguito dagli uccelli verso nord ogni anno. Molte specie attraversano il territorio tra Friuli Venezia Giulia e Veneto in questa fase, ma alcuni di questi spostamenti naturali vengono interrotti da attività di bracconaggio. Proprio questo fenomeno è stato al centro delle investigazioni.
La strategia di cattura illegale
Le forze dell’ordine hanno scoperto che durante queste migrazioni, gruppi di persone approfittavano della presenza degli uccelli per catturarli illegalmente. Questa pratica è vietata per proteggere specie protette e garantire il loro mantenimento. Si tratta di una violazione della normativa ambientale e faunistica, che prevede severe pene per chi la infrange. Il controllo pare sia stato particolarmente attento nelle province di Udine, Vicenza e Rovigo, dove sono residenti gli indagati.
Quest’attività illegale danneggia sia gli ecosistemi locali sia le popolazioni di uccelli migratori. Gli uccelli infatti hanno un ruolo cruciale per gli equilibri naturali, come la diffusione dei semi o il controllo degli insetti. Il loro prelievo forzato e irregolare rischia di compromettere l’intero ciclo migratorio annuale.
I reati contestati e il meccanismo illecito di cattura e vendita
Le accuse mosse contro i 9 indagati sono molteplici e coinvolgono condotte aggravate. Si va dal tentato furto aggravato ai danni dello Stato, alla contraffazione di sigilli pubblici, fino all’incauto acquisto e alla detenzione di specie protette. Sotto accusa anche il commercio illegale di fauna selvatica, una pratica che movimentava esemplari vivi destinati al mercato dei richiami per la caccia.
La falsificazione degli anelli
I soggetti coinvolti avrebbero catturato gli uccelli in natura, dopodiché li “regolarizzavano” falsificando o forzando i tradizionali anelli identificativi. Questi piccoli dispositivi sono obbligatori e servono a monitorare le specie protette impedendone la circolazione abusiva. La manomissione degli anelli, oltre a essere illegale, risultava spesso fatale per gli animali, causando loro lesioni gravi.
Fra gli strumenti sequestrati ci sono reti, trappole e richiami acustici, impiegati per attirare e catturare gli uccelli. Tali strumenti non avrebbero dovuto essere utilizzati, perché vietati dalla legge. A questi si aggiungono attrezzi artigianali per modificare gli anelli di riconoscimento.
Il ruolo dell’allevatore e la organizzazione del sistema
Le indagini hanno ricostruito un sistema ben organizzato che ruotava intorno a un allevatore della provincia di Udine. Secondo gli inquirenti, questo individuo coordinava la cattura e “normalizzazione” degli uccelli con la collaborazione di almeno un complice. La rete si serviva di impianti e strutture sparse sul territorio per gestire tutto il processo.
Queste attività prevedevano l’uso di punti di cattura fissi, dove gli uccelli venivano trattenuti in attesa di ricevere gli anelli falsi. Il coinvolgimento di più persone e di strutture dedicate testimonia una certa pianificazione e conoscenza del mercato illegale. Il valore economico degli uccelli si aggirava sui 400 euro a esemplare, rendendo questo traffico particolarmente remunerativo.
Non sono stati resi noti tutti i dettagli del sistema operativo, per tutelare il proseguimento dell’indagine. Tuttavia, le autorità sottolineano che la complessità dell’organizzazione evidenzia un fenomeno diffuso, che mette in serio pericolo la fauna protetta dell’area.
Le implicazioni ambientali e lo sforzo delle forze dell’ordine
Il sequestro di 327 uccelli da richiamo denuncia un problema grave legato al bracconaggio e al commercio clandestino di fauna. Queste pratiche avvelenano l’ecosistema e alterano le dinamiche naturali della fauna migratoria. I richiami vivi sono usati per attirare specie cacciabili, ma dietro gli affari si cela un giro che sfrutta in modo illecito animali protetti da leggi nazionali ed europee.
L’attività del Nucleo Cites e del Corpo Forestale del Friuli Venezia Giulia mette in luce il presidio dei territori a rischio e il contrasto al crimine ambientale. La collaborazione con la procura di Udine e l’azione sul campo hanno portato a recuperi importanti e a disarticolare una rete che operava da tempo.
La legislazione prevista tutela le specie protette e sanziona pesantemente chi infrange le regole. L’azione portata avanti oggi indica il livello di attenzione delle autorità verso la conservazione della biodiversità. Il contrasto a questi fenomeni resta una priorità per evitare che la fauna selvatica venga sacrificata per profitto illecito.
Questo episodio conferma come la protezione degli animali selvatici richieda controlli costanti e repressione efficace. Le indagini proseguiranno per circoscrivere tutte le responsabilità e impedire il ripetersi di simili attività.