La situazione nelle carceri italiane continua a sollevare allarmi. Alessandra Faiella, avvocata del foro di Sulmona, ha deciso di partecipare a una protesta a staffetta, scegliendo di scioperare la fame per chiedere un cambiamento urgente. L’obiettivo è dare voce a una condizione che spesso resta nascosta: il disagio, la sovrappopolazione e i tragici suicidi tra i detenuti.
Il fenomeno dei suicidi nelle carceri italiane si conferma un’emergenza drammatica. Alessandra Faiella ha esordito sottolineando il silenzio che avvolge questa tragedia. Nei primi mesi del 2025, sono già 40 i detenuti che si sono tolti la vita, un dato che scuote e che fa il paio con quanto riportato dall’associazione Antigone nell’ultimo rapporto. Questo numero non solo indica un’emergenza sociale e sanitaria, ma pone anche una questione etica e di rispetto verso chi vive dietro le sbarre. Il senso di sofferenza è acuito dalla mancanza di interventi efficaci e di attenzione da parte delle autorità competenti, un vuoto che ha portato Alessandra Faiella a rompere il silenzio e a muoversi con azioni concrete. Il tema dei suicidi non riguarda solo il singolo individuo ma riflette il sistema e la sua inadeguatezza nel tutelare chi si trova ristretto penalmente.
Il senso di isolamento e disperazione, unito alla mancanza di supporto psicologico adeguato, alimenta questo fenomeno tragico e inaccettabile, ha commentato la stessa avvocata.
Le strutture penitenziarie italiane ospitano oggi più di 62 mila detenuti, rispetto a una capienza reale inferiore a 47 mila posti. Il risultato è un tasso di affollamento che supera il 134%, una cifra che rende evidenti le difficoltà di gestione e le condizioni di vita spesso insopportabili. La sovrappopolazione aggrava problemi come la sicurezza, la salute mentale e fisica dei reclusi, e ostacola qualsiasi percorso di reinserimento. In questi contesti, litigi e tensioni diventano all’ordine del giorno, mentre il personale è sottoposto a carenze di risorse e pressione continua. La protesta guidata da Faiella punta proprio su questo aspetto strutturale, che non può essere ignorato dalle istituzioni se si vuole migliorare la vita di chi è dentro e garantire la sicurezza anche fuori. Il sovraffollamento rischia di alimentare una spirale che coinvolge il sistema giudiziario, le condizioni sociali e la percezione pubblica del carcere.
Impossibile immaginare un reinserimento sociale efficace senza prima risolvere il problema della sovrappopolazione e delle condizioni degradanti, sostiene la giurista.
Alessandra Faiella ha scelto di aderire a uno sciopero della fame a staffetta, promosso da un gruppo di giuristi che chiedono una revisione del decreto legge Giachetti. Questa normativa, attualmente in vigore, regola la liberazione anticipata per buona condotta dei detenuti. Aumentare il numero di giorni concessi rappresenterebbe un’opportunità per alleggerire la pressione sulle carceri e riconoscere chi dimostra riforma e impegno. Lo sciopero della fame, in questo contesto, è una forma di protesta pacifica ma decisa, che mira a ottenere attenzione sulle richieste senza ricorrere a forme di agitazione violenta. Faiella ha chiarito che questa azione non rappresenta la soluzione definitiva, ma un passo concreto per richiedere dignità e rispetto della legalità nel sistema penitenziario. Il ricorso a forme di protesta fisica mette sotto pressione le istituzioni, portando il caso al centro del dibattito pubblico.
Non si tratta di una protesta fine a se stessa, ma di un modo per far emergere una realtà che non può più essere ignorata, ha spiegato l’avvocata.
Nel suo intervento, l’avvocata ha sottolineato la necessità di superare la mentalità dura e punitiva che prevale nella discussione pubblica. La cosiddetta retorica del “buttare la chiave” non fa che alimentare isolamento, stigma e violazione della dignità delle persone detenute. La dignità, ha ricordato Faiella, va rispettata perché è un valore che precede persino lo Stato. Ogni individuo, anche quando deve pagare un prezzo per le proprie azioni, mantiene diritti fondamentali. Un giurista ha il dovere di parlare a nome di chi in carcere rischia di essere dimenticato o trattato con indifferenza. Il messaggio dell’avvocata si chiude con un’immagine netta: “Nessuno può guardare dall’alto in basso un altro uomo, se non per aiutarlo a rialzarsi.” Questo appello vuole smuovere le coscienze e spingere a riflettere su cosa significhi comando e responsabilità nel sistema penale italiano.
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