Rodney Smith, fotografo newyorkese noto per il suo stile elegante e ironico, sarà protagonista di una mostra monografica a palazzo Roverella di Rovigo. L’esposizione, aperta dal 3 ottobre 2025 al 1 febbraio 2026, raccoglie circa cento scatti in bianco e nero e a colori, riflettendo un percorso artistico che unisce tecnica meticolosa e immaginazione poetica. Questa è la prima rassegna italiana dedicata a Smith, confermando la vocazione del museo ad ospitare maestri della fotografia come Robert Doisneau e Henry Cartier-Bresson.
Rodney Smith nacque nel 1947 e iniziò a interessarsi alla fotografia già da bambino. Fu allievo di Walker Evans e fu influenzato da fotografi come Ansel Adams, Henri Cartier-Bresson e Margaret Bourke-White. Nel corso della sua carriera, i suoi scatti comparvero su testate prestigiose come Time, The New York Times e Vanity Fair. Portò avanti anche lavori per marchi della moda come Ralph Lauren, collaborando con grande successo nel settore.
La sua formazione univa elementi tecnici di altissimo livello a una profonda cultura filosofica e teologica, ambiti in cui si dedicò con passione. Lavorava con attenzione alla forma, ma anche alla narrazione, traducendo le sue riflessioni esistenziali in immagini che raccontano emozioni semplici e universali. La curatrice Anne Morin sottolinea anche i legami tra le sue foto e la tradizione cinematografica, con riferimenti a registi come Alfred Hitchcock e Wes Anderson, nonché ai maestri del cinema muto come Charlie Chaplin.
Le fotografie di Rodney Smith si distinguono per una composizione rigorosa, ispirata ai canoni classici, ma con un tocco di ironia che richiama spesso elementi surreali. Le immagini trattano il quotidiano con leggerezza e originalità, trasformando scene ordinarie in momenti sospesi tra realtà e immaginazione. Lo stile ricorda quello del pittore René Magritte sia per l’attenzione al dettaglio, sia per il senso del paradosso che permea le sue immagini.
Ogni scatto è realizzato con pellicola e luce naturale, senza ritocchi digitali. Smith mostrava una cura artigianale per ogni dettaglio, dalla scelta della scena all’inquadratura, e affidava al suo istinto la decisione finale. Diceva di cercare “il posto giusto e la luce giusta” per poi lasciar scaturire l’immagine da quell’incontro. Il risultato è un universo visivo che mescola eleganza, minimalismo e un’aura di mistero.
L’artista usò il bianco e nero per la maggior parte della sua carriera, realizzando migliaia di fotografie fino ai primi anni Duemila. La scelta della pellicola era per lui un atto d’amore, una pratica che definiva insostituibile nonostante i progressi tecnologici del digitale. Dal 2002 iniziò a sperimentare con il colore, riconoscendo che per lui aveva una funzione diversa, ma senza mai abbandonare la passione per il bianco e nero.
Smith spiegò di trovare nel bianco e nero “un’oscurità e una luce sfolgorante” che il colore non può dare. Nelle sue immagini in bianco e nero il contrasto diventa quasi una materia viva, capace di trasmettere profondità e movimento come pochi altri mezzi. Non a caso le sue fotografie, nate senza alcun ritocco digitale, si concentrano su composizioni in grado di suscitare emozioni pure, restituendo una percezione nitida e intima del mondo.
Le fotografie esposte a palazzo Roverella mostrano la capacità di Smith di mettere in scena mondi che sembrano usciti da sogni leggeri, carichi di riflessi e forme che suscitano stupore. I luoghi raffigurati sembrano calmi, sereni, spesso con un tocco di umorismo sottile. Le immagini invitano chi guarda a soffermarsi su dettagli come contrasti di materiali, luci e forme che si intrecciano con delicatezza.
Smith amava definire la fotografia come uno strumento per trovare armonia in mezzo al caos quotidiano. Ogni scatto è costruito come un’opera preziosa, con attenzione quasi maniacale per equilibri e simmetrie, ma anche per storie raccontate con pochi elementi essenziali. Questo equilibrio crea un senso di quiete e meraviglia, capace di coinvolgere l’osservatore a livello emotivo e visivo.
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