Il 27 aprile 2025 Budapest si prepara ad affrontare una giornata densa di tensione. La delegazione del Roma Pride è appena atterrata nella capitale ungherese per partecipare al corteo, da settimane vietato dal governo di Viktor Orban. Il clima che si respira è carico di difficoltà e controlli serrati sin dalle prime ore, ma la voglia di manifestare non si ferma.
Arrivo a budapest e controlli serrati alla dogana
La delegazione guidata da Mario Colamarino, presidente del Circolo Mario Mieli e portavoce del Roma Pride, è sbarcata all’aeroporto di Budapest in una situazione di rigida attenzione da parte delle autorità locali. Già al momento dello sbarco sono scattate perquisizioni e controlli sulle valigie, con l’apertura di uno degli zaini per ispezionare lo striscione destinato al corteo. Colamarino ha raccontato: «appena arrivati, ci hanno chiesto cos’è questo striscione e ci hanno controllato tutto».
Non si tratta di un semplice episodio isolato, ma di una prassi che sta riguardando molti partecipanti. Attivisti da tutta Europa, volontari e politici si stanno radunando sotto una pressione crescente, con azioni di sorveglianza notevoli a ogni passo. L’intento del governo Orban di scoraggiare la manifestazione si traduce in una stretta sui controlli aeroportuali e sulla libertà di movimento.
Il divieto ufficiale e la reazione del roma pride
Il governo di Orban ha imposto un divieto ufficiale per la parata del pride, motivandolo con ragioni di ordine pubblico e morali secondo la sua linea politica contro i diritti LGBT+. Questa decisione ha scatenato una forte reazione da parte della comunità LGBT+ e dei sostenitori dei diritti umani, che vedono nel divieto un attacco diretto alle libertà civili.
Mario Colamarino, portavoce del Roma Pride, ha chiarito all’ANSA che «non si arretrerà di un millimetro». La delegazione italiana è arrivata proprio per confermare la partecipazione al corteo e sostenere i manifestanti locali, rischiando possibili sanzioni. La scelta di sfidare apertamente il divieto dimostra la volontà di tenere alta la visibilità delle istanze LGBT+ anche in un contesto che si presenta come ostile.
La battaglia a Budapest segue altre simili tensioni in Europa centrale, dove le amministrazioni conservatrici cercano di frenare le manifestazioni di organi di diritti civili. Il Roma Pride si pone quindi come simbolo di resistenza e solidarietà internazionale, attirando una rete di supporto che coinvolge anche figure politiche e diverse realtà associative.
La partecipazione di attivisti e politici da tutta europa
Non solo esponenti del Roma Pride, ma anche attivisti venuti da molte parti d’Europa stanno arrivando a Budapest nonostante le condizioni difficili. La manifestazione ha assunto un rilievo internazionale che richiama una molteplicità di gruppi e persone.
Questo raduno di voci diverse, tra persone comuni e rappresentanti istituzionali, indica la volontà di opporsi a misure restrittive che colpiscono la comunità LGBT+. La presenza di figure politiche è particolarmente significativa, perché rafforza l’appello a rispettare i diritti fondamentali.
Il contesto si fa quindi una sfida pubblica tra chi vuole mantenere divieti rigidi e chi si batte per aprire spazi di libertà. Le proteste non si limitano a una singola città, ma riflettono una tensione più ampia sul futuro dei diritti sociali e civili nel cuore dell’Europa.
Budapest sotto osservazione: cosa c’è in gioco
Budapest rappresenta un punto focale per il confronto tra orientamenti diversi riguardo ai diritti civili. Le restrizioni imposte dal governo Orban stanno suscitando attenzione internazionale, non solo tra gli attivisti ma anche nelle istituzioni europee.
Il divieto del pride lampeggia come un segnale politico chiaro: una linea dura che intende limitare espressioni culturali e politiche della comunità LGBT+. La repressione mette in discussione la libertà di manifestare in uno spazio pubblico e rischia di condizionare altre realtà in Europa dove simili spinte conservatrici prendono corpo.
La sfida di domani non sarà solo una sfilata, ma un momento che misurerà quanto la società civile e chi rappresenta i diritti umani possa mantenere la propria voce anche sotto pressione. Gli occhi restano puntati su Budapest, dove si gioca una partita delicata e segnata da uno scontro di visioni.